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Public Policy

L’Italia del diritto sia rifondata

Compagno intercettato

I DS usarono lo stesso strumento per azzerare la prima Repubblica. Oggi il nesso sfugge

di Davide Giacalone - 12 giugno 2007

“La giustizia è uguale per tutti”, nelle aule di giustizia si trova scritto dove i giudici non possono leggerlo ed esserne distratti. In anni non lontani, difatti, una volta giunti in possesso d’intercettazioni dalle quali emerge che un indagato, per ipotesi di reato connesse al contenuto della conversazione, è invitato da un suo “referente politico” a non parlare per telefono, ad incontrarsi di persona dovendosi diffidare delle comunicazioni, sarebbe scattata immediatamente la richiesta d’arresto per evitare l’ulteriore inquinamento delle prove. Il parlamentare, dal canto suo, avrebbe ricevuto un avviso di garanzia. Se qualcuno avesse protestato (ed io lo avrei fatto), se si fosse detto che quello era un modo incivile di condurre le indagini, sarebbe intervenuto il capo della procura milanese, argomentando che la “pericolosità sociale” viene meno qualora si recidano i legami fra il singolo indagato ed il mondo politico e criminale che lo circonda e protegge, il che può ottenersi solo quando l’arrestato si decida a rendere confessione dei reati da lui commessi e ad indicare, con circostanziata precisione, il ruolo di ciascun complice. Taluno avrebbe protestato (io lo avrei fatto ed ancora lo faccio), ma la sinistra politica sarebbe insorta dicendo: la giustizia vada avanti, nessuno attenti all’autonomia dei magistrati.

All’onorevole La Torre sfugge il nesso fra le sue conversazioni telefoniche, quelle del suo capo corrente, Massimo D’Alema, e la questione morale. Eccolo: essi usarono esattamente lo stesso strumento per azzerare un mondo politico democratico che aveva molte responsabilità, ma che aveva resistito, anche con finanziamenti irregolari, alla potente macchina propagandistica comunista, alimentata con soldi grondanti sangue. Il nesso sta nel fatto che essi hanno agito assai peggio di quel che oggi lamentano di subire, e se ancora hanno dei dubbi su quali furono le alleanze inquietanti di allora, guardino nel proprio governo, e ci troveranno Antonio Di Pietro, guardino nel loro gruppo parlamentare, e ci troveranno Gerardo D’Ambrosio, guardino nel loro gruppo europeo, e ci troveranno Elena Paciotti. Violante no, quello ce l’hanno sempre avuto.

Tralascio le conversazione del povero Fassino, cui nessuno diceva niente ed era costretto a cercarsi in proprio direttive degli scalatori (i furbetti del quartierino, a Ricucci diano almeno i diritti d’autore) dovendo incontrare il presidente degli scalati, dando così un’idea davvero dignitosa ed indipendente della politica. E metto le mani avanti rispetto agli altri carichi di palta che finiranno presto nel ventilatore, affrontando due questioni politiche. La prima riguarda il garantismo, ovvero il rispetto del diritto e delle regole. Noi sappiamo cos’è, quindi siamo pronti, adesso, subito, a difendere la presunzione d’innocenza di ciascuno dei coinvolti. Tutti. Ma fra questi vi sono personaggi politici di primissimo piano che approfittarono bassamente di un giustizialismo forsennato e fascistoide, ed oggi si trovano al potere perché fu eliminata per quella via una classe politica che essi non riuscivano a battere elettoralmente, cioè per via democratica. Ecco, costoro sappiano che se ne devono andare. Non perché intercettati e magari anche indagati (tanto non lo è, uguale per tutti), ma perché la loro immoralità di allora ne rende illegittima la posizione di oggi. Non se ne andranno, naturalmente, così contribuendo a dare l’idea che la politica sia la miserrima arte del rimanere dove ci si trova, anche se s’è smarrita ogni forza e possibilità d’essere utili altro che a se stessi.

Noi non ci abbasseremo mai ad usare oggi le loro armi di allora, ma le loro mani si lordarono quando approfittarono dell’orda giudiziaria per cercare di far dimenticare d’essere gli sconfitti dalla storia. E quando leggo le dichiarazioni dell’avvocato e parlamentare Calvi, il quale sostiene: «come non era difficile prevedere, ed era stato da noi previsto, a Milano il Tribunale si è trasformato in una sorta di circo mediatico illegale nel quale il nostro sistema di garanzie è stato travolto da una farsa indecorosa», cerco incuriosito la data, e scopro con divertito raccapriccio che sono di oggi. La seconda questione riguarda gli strateghi della “convenienza”. Nel mondo politico ce ne sono molti che sussurrano: non si deve alzare la voce, non si devono creare difficoltà a D’Alema, perché il mandante è Prodi, o, secondo altri, Veltroni. Gattini ciechi, a parte il fatto che se pensate la politica si faccia tutta dentro una certa sinistra potete anche chiudere bottega, ma da quale scuola venite per non accorgervi che l’Italia sta stramazzando e non può sorbirsi un altro decennio fondato sulla melma e la bugia? Ci sono cose che si ha il dovere di dire non perché sono convenienti, ma giuste, non perché utili, ma vere. L’Italia del diritto deve essere rifondata, il che presuppone una certa dirittura morale ed intellettuale della politica. Passi per il necessario cinismo della tattica, ma oltre un certo limite scatta la sindrome di Stoccolma, o la pirlaggine allo stato puro.

Pubblicato da Libero di martedì 12 giugno

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