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Quella cosa scomoda che si chiama libertà

Commenti politici vs punti di vista

La leadership nasce dal riconoscimento di realtà di fatto

di Livio Ghersi - 11 febbraio 2008

Spesso c’è una grande distanza fra il modo di commentare la politica proprio delle grandi reti televisive e della stampa "seria", e punti di vista non confirmisti, quale il mio, che ancora per poco tempo, fino a quando la campagna elettorale non entrerà nel vivo, potranno essere ospitati qui e là nei periodici telematici e viaggiare nella rete. Sembra che si raccontino mondi diversi.

Nel "Corriere della Sera" (10/02/2008) il prof. Guzzetta si compiace che la politica stia realizzando quanto il referendum elettorale si proponeva: ricondurre il sistema politico italiano ad un assetto bipartitico. Dal suo punto di vista, ha perfettamente ragione. Consideriamo la lista (ancora non si può parlare di partito) del «Popolo delle Libertà»: c’è un leader riconosciuto ed indiscusso, cui automaticamente spetteranno l’onore e l’onere di guidare il Governo del Paese. C’è un delfino, o aspirante tale (l’on. Fini), che potrà subentrare al leader massimo quando questi sarà chiamato a concludere la propria carriera politica con la prestigiosa carica di Presidente della Repubblica.

C’è tanto ceto politico, finalmente non più disperso in piccole formazioni, ma riposizionato in un unico contenitore; che, quindi, domani verrà automaticamente iscritto in un unico Gruppo parlamentare, tanto alla Camera, quanto al Senato. C’è un elettorato di centro-destra sostanzialmente omogeneo, che chiede le stesse cose: meno tasse, più sicurezza, più sostegno ai prodotti fabbricati in Italia, più occasioni di lavoro per gli italiani, contingentamento reale del numero degli immigrati nel nostro Paese. Sarebbe facile dimostrare che molti di questi obiettivi sono contraddittori fra loro: ad esempio, per garantire più sicurezza occorrerebbe impegnare più risorse per le forze dell’ordine, alle quali bisogna dare dotazioni numeriche adeguate, mezzi, tecnologie; tutte cose che hanno un costo e che si pagano attraverso la fiscalità generale. Altri obiettivi sono incompatibili con la nostra appartenenza all’Unione Europea. Ma non stiamo a spaccare il capello in quattro …

Perché qualcuno, come me, si attarda a respingere l’idea della «lista del Capo»? Gli esseri umani che tengono alla propria libertà non vogliono avere un "Capo". Neppure la "buonanima", cioè Mussolini, riuscì a ridurre gli italiani a docile branco di pecore, anche se utilizzava metodi sbrigativi e di indubbia efficacia. Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Carlo Rosselli, Leone Ginzburg, solo per citare qualcuno, ebbero una morte precoce e violenta in quanto andavano dietro a beni immateriali (esito a parlare di Spirito, altrimenti mi considerano crociano, o neo-hegeliano), quali la fedeltà agli ideali professati, il senso della propria dignità personale, una diversa interpretazione dell’amor di Patria. Oggi che siamo più moderni e rispettabili, non c’è bisogno del folclore, non serve indossare le camicie nere, irrigidire il braccio e gridare «alalà». La leadership nasce dal riconoscimento di realtà di fatto: la primazia spetta a Tizio e non ad altri perché è in grado di travolgere ogni concorrente con la sua potenza economica, perché può indirizzare e manipolare l’opinione delle masse attraverso le televisioni ed una fetta non trascurabile di carta stampata. Il Capo non si critica: si segue e si tessono le sue lodi. Solo stando dietro la sua scia si possono ottenere vantaggi.

La legge elettorale vigente, non a caso approvata dalla maggioranza parlamentare che sosteneva il Governo di Centro-Destra, prevede che gli elettori non possano esprimere preferenze. Deputati e senatori vengono eletti secondo l’ordine di presentazione in listoni circoscrizionali. L’ordine da chi è deciso? Dal Capo e dai suoi cari, in modo che i futuri deputati e senatori abbiano ben chiaro da chi sono stati nominati.

Il Partito Democratico vuole essere la risposta, nominalmente di "centro-sinistra", allo stesso modello politico-culturale: dalle analisi del tipo «bisogna restituire lo scettro al Principe», si è passati all’apologia del Decisore politico. Regole statutarie, assemblee in cui si discute liberamente e si vota, congressi non decisi a tavolino, sono "roba vecchia". C’è un leader plebiscitato dal popolo delle primarie e spetta a lui decidere. La legge elettorale sarà cattiva quanto si vuole, ma fa molto comodo anche al leader massimo del Centro-Sinistra: così anche lui può nominare i futuri deputati e senatori, eliminando chi gli fa ombra.

Per chi creda nella concezione dello Stato di diritto, la Costituzione, cioè la legge delle leggi, dovrebbe essere considerata cosa quasi sacra. Si fa presto a valutare l’attuale classe dirigente politica, di entrambi gli schieramenti, se solo si riflette sul fatto che tutti i protagonisti odierni sono gli stessi che dieci anni fa, nel 1997, concorsero ad elaborare un complessivo progetto di riforma della parte seconda della Costituzione in sede di Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta da D’Alema. Allora si vede come la Costituzione potesse diventare oggetto di compromessi molto scadenti, perché tutte le forze politiche maggiori erano dominate dall’unica preoccupazione di essere accontentate in punti per loro "di bandiera". Ad esempio, siamo diventati uno Stato "federale" perché così voleva la Lega Nord.

Il progetto complessivo definito dalla Bicamerale è fallito, ma alcune parti purtroppo sono state successivamente approvate ed ora fanno parte della Costituzione vigente. Mi riferisco, in particolare, alla riforma del Titolo quinto della Costituzione, approvata dal Centro-Sinistra con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Si fa un gran parlare di riforme, ma finora abbiamo conosciuto soltanto un riformismo costituzionale scadente.

Per quanto riguarda la Forma di governo, a partire dalla sopra citata Bicamerale del 1997, si è affermata l’opinione che per garantire la governabilità occorresse passare ad un Primo Ministro forte di un un’investitura popolare diretta e nel contempo certo di disporre di una congrua maggioranza numerica in seno all’Assemblea parlamentare, mediante lo strumento tecnico del premio di maggioranza.

Per quanto mi riguarda, la mia preferenza va al mantenimento della Forma di governo parlamentare, con gli opportuni correttivi che si possono introdurre in una legge elettorale per ridurre la frammentazione della rappresentanza. Tuttavia, se si volesse scegliere il modello della Forma di governo presidenziale, con il Capo dell’Esecutivo direttamente legittimato dal voto popolare, allora tanto più si porrebbe l’esigenza di un’Assemblea parlamentare che abbia un certo numero di attribuzioni proprie, costituzionalmente garantite, e che possa fungere da elemento di riequilibrio rispetto ad un Primo Ministro altrimenti onnipotente. Tanto per valutare esperienze istituzionali note: il Presidente degli Stati Uniti non è onnipotente, ma incontra concreti limiti nel Congresso. La teoria liberale, storicamente, è stata ispirata dall’esigenza della separazione dei poteri, per il loro controllo reciproco, e per il loro reciproco bilanciamento. Chi vuole un Primo Ministro fortissimo ed una maggioranza parlamentare a lui legata, si pone fuori dall’orizzonte teorico del liberalismo.

Il premio di maggioranza era previsto dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43, (la quale, non per caso, portava il nome di un parlamentare della Destra, oggi scomparso: Tatarella). Legge che disciplinava l’elezione dei consigli delle Regioni a statuto ordinario e che il Legislatore costituzionale ha voluto si applicasse anche in occasione delle prime elezioni dei Presidenti delle Regioni a suffragio universale diretto. Ciò che ora è più importante, il premio di maggioranza è previsto dalla legge elettorale vigente, la legge 21 dicembre 2005, n. 270. Il modello teorico che molti politici hanno in mente, anche se esitano a confessarlo, è quello della legge "Acerbo", la legge elettorale voluta da Mussolini, con la quale si votò nelle elezioni del 6 aprile del 1924. In effetti, il listone del «Popolo delle Libertà» a me molto ricorda le «liste nazionali» del 1924.

E’ opportuno ricordare che, invece, né la legge elettorale inglese, né quella tedesca, prevedono alcuna maggioranza numerica garantita. Dico di più: tra Forma di governo parlamentare (tuttora prevista dalla Costituzione vigente) e maggioranza numerica predeterminata "per legge" c’è incompatibilità logica, prima che politica. Infatti, una maggioranza parlamentare precostituita "per legge" deve fare un’unica cosa: votare disciplinatamente i provvedimenti, di volta in volta, proposti dal Governo. La funzione del parlamentare si risolve nello schiacciare il pulsante giusto, al momento delle votazioni. Se il Parlamento si riduce a questo, c’è davvero da chiedersi se abbia senso continuare a corrispondere ai parlamentari il trattamento economico ed i privilegi oggi loro accordati.

Il leader massimo del Centro-Destra, nell’aprire la campagna elettorale a Milano ha dichiarato che sono «sprecati, anzi pericolosi», i voti per liste diverse da quella del Popolo delle Libertà, o da quella del Partito Democratico. Immagino quali belle regole per il Paese potrebbero risultare da un accordo a due, con tutto il resto del Parlamento ridotto ad una condizione da "cervello piatto". Immagino con quanto qualificato impegno i due unici partiti "utili", accordandosi fra loro, perseguirebbero il fine di ridurre i costi della politica, o di contrastare l’ingerenza partitocratica nelle pubbliche amministrazioni. Prima che ci tacitino definitivamente, mi piacerebbe che quel pochissimo che resta del Liberalismo politico in Italia si mettesse di traverso e si attrezzasse per lo scontro finale. Invece, si assiste al triste spettacolo di formazioni dal nome glorioso che si acconciano, zitti e mosca, nel listone del Popolo delle Libertà; oppure che danno pubblicamente in escandescenze perché il Partito Democratico non vuole allearsi con loro.

Forse servirebbe pubblicare un avviso commerciale a pagamento: cercansi persone che non vogliono (in grassetto) votare né per la lista del Partito delle Libertà, né per il Partito Democratico, perché li ritengono espressione di un identico modello autoritario (in grassetto) e sbagliato (in grassetto). Purtroppo ci viene negato pure il sogno romantico di poter scendere in campo, contarci, e cadere combattendo. Come suprema beffa, dal punto di vista di un liberale laico, i cattolici Tabacci e Pezzotta potrebbero restare i soli a difendere la Forma di governo parlamentare ed a battagliare per una legge elettorale "decente".

Pubblicato nel sito www.livioghersi.it

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