Cina e India all’assalto dell’occidente
Il ruolo dell’Unione europea nello sviluppo delle economie asiatichedi Antonio Picasso - 14 giugno 2005
Allora, tornando alla domanda iniziale: è giusto aver paura della “CinIndia” (così chiamava la partnership asiatica Francesco Sisci sulla Stampa, settimane fa)? Certo, i numeri sono quelli che sono. Le economie, cinese e indiana, sono entrambe sostenute da un ritmo di crescita invidiabile e impareggiabile. Oltre il 9 per cento l’anno è il trend positivo del pil cinese, il 7 per cento quello indiano. E i progetti di collaborazione tra i due Paesi fanno ancora più clamore. Dalla fine degli anni Ottanta, per esempio, il commercio bilaterale ha preso quasi a raddoppiare di anno in anno. Nel 2004 l’India è stato il nono partner commerciale della Cina, per un totale di 13,6 miliardi di dollari; e la Cina è stato il secondo partner commerciale dell’India. Il tasso di crescita dei loro scambi è stato del 79 per cento. La lettura di queste percentuali, in effetti, può mozzare il fiato. Quindi, dimostrato che è lecito aver paura, diventa quanto mai essenziale e urgente determinare come piantarla con questo tremore e affrontare il problema da superpotenza che si rispetti, quale l’Unione europea è. Per prima cosa bisogna rendersi conto che Cina e India sono sì due avversari, ma anche due opportunità. Due territori dove esportare una cultura economica e politica fondate sul mercato e su uno Stato democratico. Entrambi i Paesi, infatti, dimostrano vistose falle in merito. Perché la Cina aspira a un processo di democratizzazione che le permetterebbe di adeguarsi al suo stesso sistema economico capitalistico. L’India, a sua volta, è una democrazia di un miliardo di anime, la più grande del mondo, ma fondata su una base economica e sociale ormai anacronistica. Certo, sia a Pechino e che a New Delhi i rispettivi governi si stanno adoperando per un piano di riforme. Ma questo non basta. Affinché i due giganti riescano nei loro progetti è obbligatoria la collaborazione con chi di democrazia e capitalismo ha fatto tesoro. E nessuno meglio dell’Europa potrebbe svolgere questo ruolo. Il problema, però, è l’ordine sparso con cui si muovono gli Stati membri dell’Ue. E se su questa strada si dovesse continuare, stiamo pur sicuri che si dovranno affrontare problemi di posizionamento. Perché, a quel punto, Cine a India non ci metterebbero molto a scalzarci dalla posizione di secondo piano, dopo gli Usa, che l’Europa ha sull’asse mondiale.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Società Aperta è un movimento d’opinione, nato dall’iniziativa di un gruppo di cittadini, provenienti da esperienze professionali e politiche differenti, animati dalla comune preoccupazione per il progressivo declino dell’Italia, già dal lontano 2003, quando il declino dell’economia, almeno a noi, già era evidente come realtà acquisita. L’intento iniziale era evitare che il declino diventasse strutturale, trasformandosi in decadenza. Oltre a diverse soluzioni economiche, Società Aperta, fin dalla sua costituzione, è stata convinta che l’unico modo per fermare il declino sarebbe stato cominciare a ragionare, senza pregiudizi e logiche di appartenenza, sulle cause profonde della crisi economica italiana e sulle possibili vie d’uscita. Non soluzioni di destra o di sinistra, ma semplici soluzioni. Invece, il nostro Paese è rimasto politicamente paralizzato su un bipolarismo armato e pregiudizievole, che ha contribuito alla paralisi totale del sistema. Fin dal 2003 aspiravamo il superamento della fallimentare Seconda Repubblica, per approdare alla Terza, le cui regole vanno scritte aggiornando i contenuti della Carta Costituzionale e riformulando un patto sociale che reimmagini, modernizzandola, la costituzione materiale del Paese. Questo quotidiano online nasce come spin-off di Società Aperta, con lo scopo di raccogliere riflessioni, analisi e commenti propedeutici al salto di qualità necessario