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La salita in campo di Monti

Cilecca elettorale

Esiste un solo modo per evitare che l’Italia non si trasformi in un protettorato privo di sovranità effettiva, e consiste nel modificare la Costituzione.

di Davide Giacalone - 28 dicembre 2012

Ci avviamo verso una cilecca elettorale. Saranno due mesi di polemiche, al termine dei quali ci ritroveremo senza capacità di governo. Il vuoto dell’agenda Monti è già stato messo in luce. Per come è scritta potrebbe essere condivisa da chiunque, se solo non refrattario ai luoghi comuni e all’approssimazione statalista. La fiscalità satanica è, in quello scritto, espiazione e soluzione. C’è da dire, però, che la pratica del centro destra non è stata poi così diversa, mentre il programma del centro sinistra e financo peggiore.

Il centro destra arriva all’appuntamento elettorale in grave crisi di leadership. La vecchia guida è l’unica esistente, quella designata non ha saputo rendersi autonoma e s’è dimostrata pronta solo alla gestione delle sconfitte. L’idea di trovarne una nuova, cotta e mangiata nel giro di due settimane, è generosa, ma anche ingenua. E’ evidente che, in quelle condizioni, nessuno avrebbe poi la forza per coalizzare e trattenere alcunché. Sempre ammesso che altri ne siano capaci.

Il centro sinistra giunge, per la terza volta nel corso della seconda Repubblica, all’appuntamento con una vittoria annunciata, ma, per la terza volta, nelle migliori condizioni per trasformare la vittoria in sconfitta. Coalizione disomogenea, leadership debole, l’unico cavallo vincente tenuto fuori dalla pista. Potrebbero pure vincere un terno al lotto (difficile) e trovarsi con la maggioranza in ambo le Aule, nel qual caso provvederebbero essi stessi ad annientarla, non appena sarà chiaro che l’autonomia operativa del governo è tendenzialmente pari a zero. Più facilmente si troveranno privi di maggioranza al Senato, nel qual caso la già, reciprocamente, annunciata alleanza con il centro montiano non consoliderebbe un bel nulla, anzi scioglierebbe l’apparente unità a sinistra.

Una cilecca annunciata. Tanto che nel mentre inizia la campagna elettorale già si suppone che ne sarà necessaria un’altra. Perché non sia la storia triste di una inutile agonia, però, occorrono due condizioni: a. che nella sinistra vinca la linea che è appena stata sconfitta, quella di Matteo Renzi; b. che nella destra si rompa ogni inutile continuità e una nuova generazione trovi il coraggio, la lucidità e la forza d’imporsi su chi ha, oramai, esaurito la funzione. E non parlo di una sola persona, ma di tutto intero un gruppo dirigente. Se queste sono le premesse, serve poi la capacità di capire che esiste un solo modo per evitare che l’Italia non si trasformi in un protettorato, privo di sovranità effettiva, e consiste nel modificare la Costituzione. Non esclusivamente, come dice la vuota agenda Monti, la sua seconda parte, ma il suo nocciolo istituzionale. La storia ha già chiuso, da molti anni, il dopoguerra, mentre la politica non ne è ancora capace e le istituzioni sono rimaste inchiodate alla guerra fredda. In queste condizioni possiamo solo decadere.

Non impressioni (troppo) la cilecca prossima ventura. Rientra nell’esasperante rito della lunga fine della seconda Repubblica. Deve fare paura la non consapevolezza della condizione reale in cui ci troviamo, con gente che discetta sulla differenza fra scendere e salire, supponendo di dire qualche cosa di lontanamente significativo. Deve fare paura un sistema oramai esasperato da personalismi paranoici, talché tutto si riduce a chiedersi cosa fa Tizio o Caio, laddove si dimostreranno inutili le loro gesta e ridicolo il loro annettersi meriti fuori dalla realtà. La cilecca può essere utile, se servirà a dire: basta. L’Italia ha forza, ricchezza e classe dirigente per reagire. Ma serve capire che un capitolo è chiuso. In modo inglorioso.

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