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Capitalismo allo sbando

Ci vorrebbe Cuccia

I "salotti buoni" perdono progressivamente potere e importanza

di Enrico Cisnetto - 30 marzo 2012

Per molto tempo uno degli sport nazionali più praticati è stato accusare il cosiddetto “salotto buono” della finanza italiana, ed Enrico Cuccia in particolare, delle peggiori nefandezze. Ancora adesso, nonostante la crisi, i “poteri forti” sono citati – quasi sempre a sproposito – come i frenatori della crescita e della modernizzazione della nostra economia. Invece, mai come in questo momento, al capitalismo nostrano manca una “guida” come quella rappresentata nel passato da Mediobanca. Sia chiaro, non ho alcuna nostalgia per le logiche autoreferenziali che sovraintendevano a quella gestione del potere economico-finanziario, e credo che la “unicità” della banca d’affari milanese sia stata, almeno da un certo momento (la fine degli anni Ottanta) in avanti più un freno che non una garanzia.

Tuttavia, pur con eccessi di conservatorismo, quello era un “sistema”. In nome del libero mercato lo si è demonizzato, nessun Cuccia è più cresciuto in un establishment sempre più povero di uomini e di idee. Risultato: non c’è “mercato” e neppure “oligarchia”, ma solo vuoto pneumatico. Siamo di fronte ad una totale atomizzazione del sistema produttivo, incapace di darsi un orizzonte temporale che consenta di guardare oltre la punta delle scarpe. E questo proprio mentre i cambiamenti che le circostanze ci impongono richiederebbero di essere dotati di ben altro: senso strategico, capacità di visione a medio-lungo termine, disponibilità all’aggregazione. Basta vedere cosa sta accadendo proprio dentro la galassia Mediobanca per capire quanto ci manchi un Cuccia: la vicenda Fonsai, che coinvolge indirettamente anche Generali, è paradigmatica di come sia venuta meno la capacità di Mediobanca di determinare il corso degli eventi. E non a vantaggio di maggiore concorrenza e dinamicità, bensì a favore del caos, del “tutti contro tutti”. Con Cuccia forse il gruppo Ligresti non avrebbe preso la deriva che lo ha portato a doversi arrendere, ma certo il “grande vecchio” non avrebbe consentito che si aprisse uno scontro sanguinoso – e non parlo solo, e tanto, di quello tra Unipol e la cordata Sator-Palladio, bensì di quello che si sta consumando lungo l’asse Milano-Trieste – nel momento in cui quella partita avesse dovuto trovare sistemazione. Ma la stessa Mediobanca, come ha notato acutamente Marco Panara, è ormai diventata un freno allo sviluppo di tutte le sue (ormai poche) partecipate, nel momento in cui viene impedito loro di cercarsi capitali freschi con cui crescere perché l’interesse di piazzetta Cuccia non è certo quello di toccare equilibri azionari, propri e delle controllate, già consolidati. Ma anche su altri fronti si misurano le conseguenze negative della mancanza di una visione strategica di come debba essere il capitalismo italiano. Altrimenti non passerebbe sotto silenzio l’idea che per sistemare i conti di Finmeccanica sia ineluttabile cedere i suoi pezzi più pregiati, depauperando quel che c’è rimasto – poco, troppo poco – di aziende capaci di presidiare le frontiere della tecnologia più avanzata. Frontiere sulle quali dovremmo concentrare gli investimenti del paese – anche pubblici, se quelli privati non ci sono – altro che dismettere a favore di chi, inevitabilmente, porterebbe testa e brevetti altrove. E perché, la vicenda della nomina del nuovo presidente di Confindustria, non è forse esemplare di come il “padronato” abbia perso la capacità di ragionare e darsi una strategia? Ormai da tempo ex “potere forte”, il sindacato degli industriali è riuscito a dividersi, spaccandosi a metà, sul nome di due imprenditori, Squinzi e Bombassei, che si somigliano molto più di quanto non sia per entrambi con molti di quelli che li hanno votati. Così, proprio mentre la politica sta abbandonando – meglio tardi che mai – il bipolarismo armato e rissoso che ha caratterizzato la Seconda Repubblica, loro inaugurano un inedito scontro senza nemmeno avere il vantaggio che a fronteggiarsi siano le due opposte tipologie di imprenditori su cui ormai si articola di fatto il nostro capitalismo: da un lato quelli che, adeguandosi ai nuovi paradigmi della competizione mondiale, hanno scavallato il dosso della grande crisi, e dall’altro chi tenta disperatamente di sopravvivere nonostante sia fuori mercato, oppure cerca caparbiamente di mantenere gli antichi privilegi corporativi. Possibile che non ci sia stato non dico un Cuccia, ma almeno un leader di buon senso che avesse la lungimiranza e la credibilità necessaria per impedire che si consumasse una simile frattura e che ora abbia la consapevolezza che ci va messo rimedio prima che sia troppo tardi? Sono passati 12 anni da quando il patron di Mediobanca ci ha lasciato, e sembra un secolo. Ci vorrebbe un Monti…

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.