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L’epilogo della vicenda Antonenveneta

Chi ha perso al gioco dell’Opa

Ora si corre il rischio di aprire una Tangentopoli bancaria

di Enrico Cisnetto - 13 maggio 2005

Sono ben quattro i perdenti nell’epilogo che l’opa obbligatoria sanzionata (ineccepibilmente) dalla Consob sta dando alla guerra intorno al controllo dell’Antonveneta. I primi due sono sulla bocca di tutti, talvolta anche con un certo tratto di maramalderia: Giampiero Fiorani e Antonio Fazio. Il terzo è il sistema bancario, cui pochi guardano, forse perchè un po’ tutti affaccendati intorno a qualche “osso”. Il quarto, infine, non lo ha ancora citato nessuno: Silvio Berlusconi.

Ma andiamo con ordine.

Che il banchiere lodigiano abbia tirato troppo la corda e che ora si trovi nella condizione di perdere in tutti i casi la partita, appare scontato: se lancia l’opa e gli olandesi aderiscono, non sa dove trovare gli oltre 3 miliardi di euro necessari; se lancia l’opa ma Abn-Amro mantiene il suo 30%, essa ha la minoranza di blocco sufficiente per impedire la fusione che è indispensabile alla Lodi; se rinuncia e aderisce all’opa, Lodi si salva ma il suo capo (su cui pesa l’indagine della Procura di Milano e il fiato sul collo della Gdf) è fritto. E che purtroppo (e chi meglio di me può esprimere tristezza) il governatore della Banca d’Italia, e con lui l’istituzione che guida da dodici anni – sempre dignitosamente, spesso magnificamente – siano rimasti intrappolati in un gioco al quale non avrebbero dovuto prender parte, è anche questo un dato di fatto. Dico questo non in nome di un’astratta equidistanza cui richiamare la banca centrale e il suo sistema di vigilanza, ma al contrario per aver sbagliato (e clamorosamente) il cavallo su cui far correre le giuste esigenze di indirizzo strategico del sistema. E tutto questo è reso ancor più grave dal fatto che si stanno ricreando le condizioni di pericolo di un anno e mezzo fa, quando l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, facendo partire un attacco al cuore del sistema creditizio – Bankitalia e i maggiori istituti del Paese – rischiò di mettere in moto, suo malgrado, una sorta di tangentopoli bancaria, i cui effetti sarebbero stati devastanti per la nostra già declinante economia se non fosse stato che la magistratura si mostrò meno pronta che nel 1992 ad approfittarne. Ma ora, avendo rimesso magistratura penale e amministrativa al centro del ring, si torna a correre quel pericolo. Perchè nel caso della Lodi, non è per nulla secondario il fatto che la Consob sia intervenuta quando già i magistrati erano al lavoro e le perquisizioni dei finanzieri in corso. E questo intreccio fra vigilanza bancaria, magistrature, cordate padanolussemburghesi con radici nei paradisi dell’opacità e guerre di potere, non porta a niente, ma proprio niente di buono. A pensarci, è paradossale: è come se si fosse creato un asse, virtuale, tra Tremonti e Fiorani. Bankitalia ha (giustamente) difeso se stessa e il sistema da quel virus, ma ora entrambi rischiano di beccarsi ugualmente il malanno per un uso eccessivo e distorto di anticorpi. Peccato per la banca centrale, male per il sistema bancario. E che quest’ultimo ora rischi, non c’è dubbio. Da un lato, il via libera all’opa di Abn-Amro, che Bankitalia ha dovuto concedere – la chiave era prevenirla – diventa un felice precedente per i giganti del credito, europei ma non solo, che guardano con cupidigia ai forzieri che custodiscono il patrimonio degli italiani (8 volte il debito pubblico, vale la pena rammentarlo). E per un paese che ha come unica materia prima il risparmio, il controllo dei flussi finanziari è decisivo. Dall’altro lato, come già detto, c’è il rischio di mettere il mondo del credito nelle mani del sistema giudiziario. Una preoccupazione che, secondo quanto riferisce il senatore Luigi Grillo, avrebbe anche Berlusconi (“l’ultima parola non l’avrà il mercato ma i giudici”). E qui siamo al quarto sconfitto della partita: il Cavaliere lo è in quanto premier, ma anche nei suoi panni (mai dismessi) di uomo di business.

Nella prima veste, è evidente che paga il prezzo di un atteggiamento quantomeno ondivago: spalleggiatore di Tremonti quando gli era stata fatta balenare la possibilità di “conquistare” un mondo quasi per intero a lui politicamente estraneo come quello creditizio, vicino a Fazio – fino a propiziare un esito favorevole al governatore del ddl sul risparmio (ora voglio proprio vedere cosa succederà...) – quando la triangolazione con la Lega ha fatto scattare uno scenario assai diverso, il premier in realtà non si è mai posto il tema del cambiamento del capitalismo e del ruolo delle banche in esso, non avendo (ahinoi) alcuna visione strategica dei fenomeni economici. Ma in qualità di azionista della Fininvest, Berlusconi non si può certo dire estraneo alla partita Bpl-Antonveneta. Primo perchè la finanziaria della sua famiglia fa parte del patto di sindacato che controlla la Hopa di quel Chicco Gnutti che è stato chiamato dalla Consob a concorrere con Bpl all’opa obbligatoria (e la Hopa non è tirata in ballo solo perchè a suo tempo l’accorto Giovanni Consorte, capo di Unipol, socio rilevante della finanziaria bresciana, aveva posto il veto ad un coinvolgimento diretto). Secondo perchè Ennio Doris, di cui il Cavaliere è socio in Mediolanum, è schierato con Fiorani nella partita Antonveneta. E terzo per la liaison con la Lega, che dopo il salvataggio della banca padana Credieuronord da parte della Bpl, ha inaugurato l’inedita quadriglia Berlusconi-Bossi-Fiorani-Fazio, cui con tempismo perfetto si è aggiunto Giorgio La Malfa. Ogni commento finale mi costerebbe troppo dolore.

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