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Public Policy

Qualche osservazione sull’Assemblea Costituente

Che non sia una bolla di sapone

Incaricata di dibattere esclusivamente la riforma: l’unico modo di realizzare un cambiamento

di Franco Chiarenza - 10 luglio 2006

1) – Ho votato al referendum per il no nella convinzione che fosse il modo più razionale per pervenire a un nuovo patto costituzionale convincente e condiviso. Mi chiedo oggi se ho fatto bene; ho l’impressione che gli oltranzisti del conservatorismo costituzionale (Scalfaro, Ciampi, Napolitano ed estrema sinistra) abbiano tratto dalla vittoria del no la convinzione che ogni cambiamento vada contro la volontà popolare. Forse con la vittoria del si sarebbe stato più facile pervenire all’obiettivo che ci proponiamo. Meglio ancora sarebbe stato anticipare il lancio della proposta “costituente” all’inizio dell’anno (è un’autocritica).
2) – Il dibattito organizzato da Società Aperta il 5 luglio ha registrato infatti una sostanziale convergenza degli esponenti che fanno riferimento alla maggioranza di centro-sinistra contro l’ipotesi di una assemblea costituente; viceversa maggiori aperture sono state espresse da rappresentanti del centro-destra (per esempio Alemanno). 3) – Non condivido la tesi che l’importante sia trovare una confluenza ampia e possibilmente condivisa sui contenuti della riforma piuttosto che sulle forme per realizzarla. Vi sono dei casi (e questo è uno di quelli) in cui la forma è sostanza essa stessa, tale da condizionare gli esiti degli obiettivi che si intendono conseguire.
4) – E’ stato detto che le assemblee costituenti hanno ragione di esistere soltanto in relazione a cambiamenti strutturali epocali (guerre, modificazioni istituzionali, ecc.) mentre l’esigenza oggi sentita maggiormente sarebbe soltanto di apportare alla Costituzione qualche limitata modifica, soprattutto in rapporto al titolo V riformato dal centro-sinistra nel 2001. Temo che assecondando questa tendenza fondamentalmente conservatrice tutto finirà in una bolla di sapone (come le esperienze del passato d’altronde confermano).
5) – Le ragioni che inducono ad aprire una nuova stagione costituente sono molto importanti: ridiscutere alla luce delle profonde trasformazioni strutturali di questi ultimi anni (che riguardano aspetti fondamentali come la realizzazione dell’Unione europea, la nuova economia globalizzata, la laicizzazione della società, i nuovi mezzi di comunicazione, ecc.) l’intero modello costituzionale per renderlo più adeguato a una realtà radicalmente cambiata. Una costituzione deve decidere un modello di governo tarando in modo opportuno gli equilibri istituzionali che le consentano di funzionare in modo razionale; essa riflette un determinato contesto storico ed economico-sociale che certamente oggi non è lo stesso di 60 anni fa.
6) – La prima scelta, da cui derivano le altre, è quella tra un decentramento, anche accentuato, che mantenga però sostanzialmente intatta la struttura centrale dello Stato, e un federalismo che, per essere tale, non può che essere competitivo (la formula del “federalismo solidale” è un ossimoro che mi ricorda le “convergenze parallele” degli anni ’70). Una scelta che deve essere affrontata in termini chiari e in una logica costituzionale non equivoca e conseguente (diversamente dal testo vigente e dalla proposta di riforma del centro-destra).
7) – Un’altra scelta fondamentale da cui discende il disegno degli equilibri istituzionali di controllo (strettamente legata a quella del federalismo) è quella tra modello presidenziale (nelle diverse possibili varianti, dal premierato britannico al cancellierato tedesco fino al semi-presidenzialismo francese) e modello parlamentare classico. Ai liberali dovrebbe piacere il modello americano che non è né presidenziale né parlamentare perché il presidente può far poco senza il parlamento e il parlamento può far ancor meno senza il presidente, e nessuno dei due ha il potere di eliminare l’altro, realizzando così un equilibrio quasi perfetto che ha funzionato per duecento anni.
8) – Occorre poi decidere se la legge elettorale (almeno per l’elezione del parlamento) vada in qualche modo inserita nel testo costituzionale per evitare cambiamenti troppo frequenti e finalizzati alle contingenze politiche. Se il modello costituzionale prescelto vorrà privilegiare il momento della stabilità di governo la legge elettorale dovrebbe favorire il bipolarismo in una delle molte forme possibili; se invece i futuri costituenti vorranno mantenere il modello rappresentativo parlamentare (che è sullo sfondo della Costituzione del 1948) la legge elettorale dovrà essere proporzionale, sia pure con opportuni ma limitati correttivi.
9) – Vi sono alcune questioni fondamentali che richiedono una nuova sistemazione costituzionale: si tratta di principi inseriti nella vigente Costituzione che devono essere confermati, modificati o eliminati, in armonia con il modello complessivo che si intende proporre. Tra queste mi limito a citare l’annoso problema del rapporto tra il principio liberale del pluralismo scolastico (che è cosa diversa dalla libertà di insegnamento) e la centralità della scuola pubblica, e quello del rapporto tra lo Stato e le confessioni religiose, con particolare riguardo alla posizione privilegiata concessa dall’art.7 della Costituzione alla Chiesa cattolica.
10) – Anche il principio dell’indipendenza della magistratura fondato sulla commistione tra funzioni giudicanti ed inquirenti e sull’obbligatorietà dell’azione penale – fissati rigidamente nel testo costituzionale – andrebbe rivisto alla luce dell’esperienza non sempre felice di questi anni e di un confronto con l’organizzazione giudiziaria di altri paesi.
11) – Questi pochi esempi, ai quali potrebbero aggiungersene molti altri, bastano a far capire perché quella di una nuova assemblea costituente elettiva è una scelta obbligata per chi vuol cambiare qualcosa; ogni alternativa nasconde in realtà il desiderio del “non fare”, cioè di ridurre al minimo i mutamenti. Dietro l’ampio schieramento “conservatore” si celano diverse componenti: la paura di perdere potere delegando il disegno dei futuri assetti costituzionali a un organo estraneo agli equilibri della politica contingente, la convinzione (assai diffusa nella sinistra intellettuale) che il corpo elettorale non sia in grado di valutare correttamente i complessi problemi costituzionali e che di conseguenza potrebbe eleggere persone competenti. Dio ci guardi dal “salottismo” intellettuale, in questo come in altri casi.
12) – Un’assemblea incaricata esclusivamente di dibattere la riforma costituzionale sarebbe l’unico modo di realizzare un cambiamento e di farlo con la massima trasparenza e con grande partecipazione. Ma forse è proprio ciò che si teme. Ecco perché questo è uno di quei casi in cui la forma è sostanza e il “non impiccarsi” a una questione formale mi pare in questo caso una metafora sbagliata (a cui infatti si sono richiamati prontamente gli oppositori del progetto).
13) – Infine un’ultima annotazione: perché si è eliminato dal progetto di legge costituzionale di “Società aperta” il referendum confermativo ? Oggi nessuna riforma istituzionale può essere legittimata di fronte alla pubblica opinione senza l’avallo di un referendum popolare; lo hanno adottato persino gli inglesi quando si tratta di modificare l’assetto dei poteri costituzionali (come nel caso dell’Unione europea). O cadiamo anche noi nella trappola del “popolo minorenne” che deve delegare a “chi sa” la tutela più efficace dei suoi veri interessi ? Platone ringrazia; lui lo aveva suggerito duemilatrecento anni fa.

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