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La dimenticata lezione sull’economia

Che farebbe oggi Ugo La Malfa

Se fosse qui impedirebbe il balletto intorno ad una ripresa che ancora è di là da venire

di Enrico Cisnetto - 26 marzo 2007

Oggi, 26 marzo, sono passati 28 anni dalla scomparsa di Ugo La Malfa, uno dei (pochi) grandi statisti che l’Italia repubblicana abbia avuto. Temo che tutto questo tempo sia passato invano, anzi, rispetto agli sforzi che La Malfa fece nel corso di tutta la sua vita per far crescere l’economia e modernizzare il Paese. Penso, per esempio, agli strumenti della politica dei redditi e della programmazione – poi resi desueti dalla fallimentare contrapposizione tra statalisti fuori del tempo e liberisti ideologizzati – con cui l’uomo che per primo aprì l’Italia al libero scambio cercò disperatamente di evitare quel declino iniziato una decina d’anni dopo la sua morte e nel quale siamo ancora immersi. Per quelle sue preoccupazioni fu chiamato Cassandra, ma vide lontano e giusto, purtroppo.

Oggi, immagino, si rivolterà nella tomba a vedere il Paese che amava immensamente vittima della pochezza di una politica che in poche settimane passa con incredibile schizofrenia dall’allarme default alla discussione su “dove metto il tesoretto”, dividendosi tra presunti fautori dello sviluppo (diamo il surplus fiscale alle imprese, senza distinzioni) e vigilantes della redistribuzione (tutto a lavoratori, pensionati e famiglie). Due squadre contrapposte che tagliano trasversalmente partiti e coalizioni, ma senza che in esse alcuno adotti quel metodo di approccio pragmatico alla politica economica tipico di Ugo La Malfa. Il quale, se fosse praticato, costringerebbe a tener conto di almeno tre cose. Primo: nel 2006 la spesa totale ha raggiunto la quota record di 50,5% sul pil, e il rapporto deficit-pil è al 2,4% solo perchè al netto delle una-tantum (che valgono un paio di punti). Dunque non è vero che si possano usare i 10 miliardi di extra gettito al di fuori delle compatibilità di bilancio. Anche perchè sono del tutto aleatori i 5 miliardi che il Tesoro conta di incassare dal Tfr inoptato e perchè sono un’incognita gli sbilanci di Sanità, Ferrovie, Anas e cantieri infrastrutturali vari. Senza contare il costo di eventuali interventi sullo “scalone” della Maroni. Secondo: chi predica la distribuzione a pioggia verso le imprese, dovrebbe avere l’onestà intellettuale di dire che l’aumento del pil dell’1,9% l’anno scorso è stato prodotto senza il tanto evocato taglio del cuneo, che è ancora sulla carta. A dimostrazione che non è riducendo un po’ pressione fiscale a tutti che si ritorna alla crescita – la quale è merito di una minoranza di imprese che si sono già ristrutturate in chiave di competizione globale – ma con scelte strategiche di politica industriale. Terzo: chi vuole incentivare i consumi, al di là del fatto che il nostro problema è di qualità dell’offerta e non di quantità di domanda, ci dovrebbe spiegare come mai i tagli all’Irpef e l’aumento delle pensioni minime di Berlusconi non abbiano spostato di una virgola la domanda aggregata. Senza contare che il voltafaccia di Prodi sull’Ici e le preoccupazioni di Padoa Schioppa sull’assalto dei politici al “tesoretto” descrivono un governo che già si muove in termini pre-elettorali.

Per questo, Ugo La Malfa (che oggi pomeriggio sarà ricordato a Roma all’Unioncamere) se fosse il ministro dell’Economia impedirebbe questo ridicolo balletto intorno ad un risanamento della finanza pubblica e a una ripresa economica che ancora sono di là da venire.

Pubblicato su Il Gazzettino di domenica 25

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