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Patuelli nuovo presidente Abi

Che bello. Un banchiere che ha fatto Politica

L’uomo giusto al momento giusto saprà far riguadagnare l’onore perduto al sistema bancario. Quello che sorregge il nostro “capitalismo senza capitali”.

di Enrico Cisnetto - 08 febbraio 2013

Non invidio Antonio Patuelli: è diventato presidente dell’Abi nel momento peggiore. Ma è la persona migliore che i banchieri italiani potessero scegliere per farsi rappresentare nella fase in cui mai così basso è stato il livello della loro immagine presso l’opinione pubblica. E lo dico a ragione veduta: lo conosco dagli anni Settanta, da quando cioè – io con i calzoni corti, lui, nato quattro anni prima nel 1951, già con quelli lunghi – militavamo in due partiti “cugini”: il Pli e (io) il Pri. Insomma, Malagodi e La Malfa, che non a caso venivano entrambi dall’ufficio studi della Comit.

Patuelli ama definirsi agricoltore (per via di un’azienda agricola lasciatagli dal padre), giornalista (è tuttora direttore responsabile di “Libro Aperto”, rivista di cultura liberaldemocratica fondata da Malagodi) e ovviamente banchiere visto che dal 1995 presiede la Cassa di Risparmio di Ravenna e dal 1998 fa parte degli organismi direttivi di Abi e Acri. Ma sono convinto che non sia solo questa multiforme carriera che ora abbia indotto le banche a chiedergli di prendere in mano la patata bollente dell’Abi. E neppure il fatto che fosse già vicepresidente. No, penso – anzi, voglio sperare – che più di ogni altra valutazione abbia inciso la sua “dimensione politica”. Sento già l’obiezione: ma come, Mussari e Mps sono messi sulla graticola anche e soprattutto per i rapporti con il sistema politico, e ora si mena vanto che il successore affondi le radici proprio nella politica? Non fatevi trarre in inganno dalla vulgata e guardate bene il suo percorso: precoce esponente della Gioventù liberale e del Pli, assiduo frequentatore del salotto politico-culturale di Beatrice Rangoni Macchiavelli, parlamentare per due legislature nel corso della Prima Repubblica, sottosegretario nel governo Ciampi (1993-94). Nella Seconda Repubblica mai messo piede. Insomma, Patuelli ha fatto tesoro di quella straordinaria “scuola” che è stata la politica quando ancora aveva la P maiuscola, ma proprio per questo è rimasto estraneo alle sue successive miserie. E credete a me, che quel tipo di scuola ho avuto la fortuna di frequentare anch’io, seppure con molto minor profitto di lui: non c’è master o incarico privato che tenga.

Per questo Patuelli è l’uomo giusto al momento giusto. Sono sicuro che saprà far riguadagnare l’onore perduto – per colpe proprie, ma anche per un insensato accanimento mediatico – al sistema bancario, senza il quale non sarebbe mai esistita in questo paese privo di memoria l’imprenditoria privata, a cui non a caso si attaglia la definizione di “capitalismo senza capitali”. E lo saprà fare proprio grazie alla sua “sensibilità politica”. Quella che molti personaggi dell’ultimo ventennio erano convinti di avere e che, invece, per mancanza della quale sono poi miseramente caduti nella polvere. In bocca al lupo, Antonio.

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