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Una spaccatura mai vista

Caro Squinzi

Come ridare vigore a Confindustria

di Enrico Cisnetto - 24 marzo 2012

Caro Squinzi, ricorda la “vittoria” di Prodi alle elezioni del 2006? Prevalse su Berlusconi per una manciata di voti, e commise l’errore di credere che fosse un successo pieno. Rifiutò ogni mano tesa, volle governare nonostante il suo esecutivo in parlamento fosse sempre sul filo di lana. Risultato: durò due anni e poi cadde rumorosamente, riaprendo la strada di palazzo Chigi al suo avversario. Lo so, la Confindustria non è la stessa cosa, non c’è la cultura dell’opposizione. E questo è testimoniato anche dal fatto che sia Lei che Bombassei eravate sicuri di vincere: evidentemente più d’uno aveva dato a voi e ai saggi indicazioni falsate, aveva promesso voti a entrambi. Dunque, non è detto che chi ha votato per il suo avversario voglia rimanere attestato su quelle posizioni. Anzi, non è neppure detto che Bombassei voglia mettersi alla testa di una sorta di super minoranza interna. Ma ciò non toglie che 6 voti di differenza – perché tanti ne sarebbero bastati perché il risultato anziché 93 a 82 per Lei fosse 88 a 87 per il patron della Brembo – siano davvero troppo pochi, a maggior ragione in un ambiente che solo una volta nella sua storia ha conosciuto un “testa a testa” per la presidenza (nel 2000, quando D’Amato vinse su Callieri per 96 voti a 58). Insomma, il mio modesto consiglio è che valga la pena per Lei, ma soprattutto per Confindustria e per il Paese, prendere in considerazione l’idea di mettersi alla testa di una sorta di “grande coalizione”, che governi la confederazione in un momento inedito come quello di un “quasi pareggio” e per di più in una fase assai complicata della vita economica, dove le imprese si giocano la pelle.

E già, perché vede, caro Presidente, se la contrapposizione tra Lei e Bombassei fosse stata tra due tipologie opposte di imprenditori – magari tra chi avesse rappresentato gli imprenditori che hanno scavallato il dosso della grande crisi e chi fosse il vessillo di quelli che tentano di sopravvivere nonostante la loro azienda sia fuori mercato, come sarebbe stato logico e persino opportuno che accadesse visto che la divergenza di interessi tra le due categorie è ormai abissale – allora lo scontro cui abbiamo assistito sarebbe stato comprensibile e la mia idea di “unire le forze” peregrina. Invece, entrambi siete due “padroni”, entrambi guidate aziende che vanno bene, che si sono internazionalizzate, che hanno un solido futuro davanti a loro. Potrete avere qualche piccola differenza di opinione su questa o quella cosa, ma ho la netta sensazione che siano state le opposte tifoserie, che vi hanno accompagnato nella “campagna elettorale”, ad aver costruito divaricazioni di pensiero e di interessi che in realtà non esistono. Si è anche fantasticato sul fatto che ciascuno di voi avesse “referenti”, reciprocamente ritenuti ingombranti, ma crederci significa non conoscere voi e la vostra storia: siete due che non si fanno mettere il basto da nessuno. E poi, entrambi avete interesse a dar voce alle esigenze delle imprese sane (tante, ma non un esercito, purtroppo), non a tenere unito l’indifendibile (le troppe aziende che non hanno fatto o non fanno più quello che ieri sul Corriere della Sera Dario Di Vico vi chiede di tornare a fare, investire e modernizzarsi). E in questo momento occorre avere il coraggio di lasciar fuori dalla porta chi non rema nella giusta direzione, non dividere chi invece sta pienamente e positivamente sul mercato. Ma la cosa peggiore è produrre divisione, mostrare incapacità di creare consenso e di produrre coesione – come ha scritto con efficacia Mario Deaglio sulla Stampa – proprio mentre chi ha la maggiore responsabilità del catastrofico sbriciolamento che ha pervaso tutta la società italiana negli ultimi due decenni, e cioè la politica versione Seconda Repubblica, tenta con qualche timido ma confortante successo di emanciparsi dalla modalità della contrapposizione permanente. Sarebbe dunque paradossale che Confindustria, una delle poche realtà che ha saputo evitare la frantumazione – seppure solo in superficie e non senza una massiccia dose di ipocrisie – si mettesse a scimmiottare la politica peggiore proprio ora che gli italiani la stanno definitivamente condannando.

Allora, siccome è in atto la grande sfida per evitare il declassamento vero, quello dell’economia reale mortificata dal ritorno della recessione dopo anni di stagnazione, non quello delle agenzie di rating (che per fortuna non condizionano neppure più gli spread), se Confindustria – messa a dura prova da un risultato così dividente per la nomina del presidente che la governerà nei quattro anni dove il Paese e le imprese si giocheranno fino in fondo la “grande sfida” della sopravvivenza e del rilancio – non saprà dimostrarsi matura, saranno davvero guai per tutti. Ci pensi, caro Squinzi, ci pensi….e molti auguri per la sua presidenza.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.