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Il Cav. e il colpo del giocatore di classe

Caro Silvio, non resta che "sparigliare"

Il programma d’azione del governo va ridefinito

di Davide Giacalone - 05 luglio 2010

Il “ghe pensi mi” berlusconiano, che fa tanto cumenda, non potrà tradursi nell’ordine della marina borbonica, contagiata dalla genialità partenopea: “facite ammuina”. Serviva ad indurre timore negli avversari che, osservando il subbuglio e la concitazione nella nave dovevano supporre chissà quale ardita e micidiale manovra. Fantasioso, ma l’ammuina è in corso da tempo, si scorge anche da riva e, come se non bastasse, i marinai ne hanno approfittato per mollarsi vicendevolmente ceffoni e calci negli stinchi. Ciò cui Silvio Berlusconi deve attrezzarsi, entro lunedì, è il colpo del giocatore di classe, impegnato in un serio scopone: lo spariglio.

Nello scopone occorre memoria, astuzia strategica e coraggio. Non l’azzardo. Le mani precedenti non sono andate bene, consumando il vantaggio conquistato, per la verità, sul terreno di disgrazie e disastri: terremoto e spazzatura. Far saltare il tavolo, ove mai sia saggio, non è facile e comporta notevoli pericoli, perché il suo guardiano, il Presidente della Repubblica, sarà ostile. Vedemmo per tempo il problema e parlammo d’elezioni anticipate da farsi prima o con le regionali, dicendo agli italiani: vorremmo ma non possiamo, dateci la possibilità di governare veramente. Chiusa quella finestra i tempi s’allungano e se il governo riuscisse a scavarsi la fossa il suo posto sarebbe preso da altri, foss’anche per i soli mesi dello scioglimento. Che, comunque, non avverrebbe subito. La partita, allora, deve ancora essere giocata.

Sparigliare in tema di giustizia significa non avvinghiarsi ai propri errori, puntando tutto su materie come intercettazioni e immunità. Primo, perché i rimedi approntati sono penosi. Secondo, perché rispondono agli interessi di pochi. Si riprendano i fondamentali, dalla separazione delle carriere alla libertà personale, dai tempi incivili alle riforme disattese, dall’organizzazione dei tribunali ai controlli di produttività. Lo si faccia parlando la lingua degli interessi generali e usando i casi altrui, che sono sotto gli occhi di tutti. Basta poco, per ottenere moltissimo.

In tema economico nessuno può chiedere al governo di cancellare la crisi, ma si può chiedere di smetterla di presentare decreti da cambiare e annunciare maxiemendamenti da trattare. Sappiamo tutti che finirà con la fiducia, ma ci si deve arrivare in modo dignitoso. Il che significa: mantenere i saldi, certo (sono trenta anni che le “manovre” si fanno in questo, brutto, modo), ma evitare lo scontro politico senza riforme. Litigare con le regioni senza neanche riformare il sistema sanitario è follia. Oltre tutto la colpa del disastro è nella riforma costituzionale varata dalla sinistra, quindi, cribbio, provino a ragionare e reagire. Ancora una volta: parlando in grande, senza trascinarsi in un inutile baruffa.

Sparigliare nella coalizione significa piantarla nel battibecco senza contenuti. Essere aggiornati quotidianamente sullo stato dei rapporti umorali fra il Tizio e il Caio è di una noia opprimente, che induce a non distinguere e maledire. Ho l’impressione che abbiano scelto entrambe, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, di rompere, cercando d’addossare la colpa all’altro. Comunico loro un dettaglio: è irrilevante, interessa solo voi e qualche fissato. Fatela finita. Il programma d’azione del governo va ridefinito. Chi ci sta bene, chi non ci sta fuori, a costo di dovere aprire la crisi. E siccome ci sono in giro un sacco di spiritosi, che si sono dimenticati di com’è fatto il nostro (pessimo) sistema elettorale, quindi di avere goduto di un premio di maggioranza, vorrà dire che delle alternative possono essere cercate in Parlamento. Vale per gli uni e per gli altri, ma con il coraggio delle proprie azioni.

La legislatura è a metà del cammino, ma ha preso, da tempo, una brutta piega. Sia per rivitalizzarla che per ammazzarla occorre il consenso e il concorso del Quirinale. Questo stabilisce la Costituzione e da lì non si scappa. Può non piacere (e a me non piace) che il Presidente si consideri un soggetto politico, ma, anche in questo caso, non c’è modo di sfuggire al più grosso errore di Romano Prodi. Si deve farci i conti. Il rapporto può essere gestito, ma a partire dalle cose e dialogando sui contenuti. Mentre tentare d’ingannarlo o forzarlo utilizzando il caotico movimentarsi borbonico non funziona. Lui è Napolitano, e anche napoletano.

Pubblicato da Libero

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