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Caro Monti, ti è rimasto poco tempo

Del governo Monti c’è ancora molto bisogno. Ma serve nella misura in cui cambia decisamente, e rapidissimamente, strada. Prima che sia troppo tardi.

di Enrico Cisnetto - 09 giugno 2012

Il nervosismo del presidente Monti è per molti versi comprensibile, ma ciononostante appare sopra le righe e controproducente. Egli, che meno di altri nella sua vita ha mai sopportato il contradditorio, è oggetto di due tipi di critiche. La prima gli viene dai partiti che pure lo votano in parlamento, i quali mostrano verso di lui una crescente insofferenza, tanto che il Pdl, se non fosse per le (interessate) prudenze di Berlusconi, avrebbe già rotto e fatto saltare il governo. La seconda gli viene da alcuni opinionisti (io sono fra questi) e dal mondo imprenditoriale, cosa che ha finito per indurre i giornali anche più favorevoli ad un atteggiamento decisamente meno morbido di prima. Delle prime, Monti non si lamenta pubblicamente (morsicandosi la lingua) per evitare guai al governo, le seconde le soffre oltre ogni limite, e finisce per uscirsene con reazioni tipo quella “sono stato abbandonato dai poteri forti”, che denuncia un vittimismo del tutto fuori luogo. Infatti, a parte chi fa da cassa di risonanza dei partiti che sono all’opposizione, nessuno di quelli che hanno denunciato alcuni limiti del governo e, soprattutto, proposto ricette alternative o integrative di quelle adottate dal governo, lo ha fatto in modo preconcetto, antagonista o comunque anche solo malevolo. Tutti sono stati costruttivi, e c’è da chiedersi perché un uomo avveduto e misurato come il professor Monti debba considerare critiche e suggerimenti alla stregua di attacchi personali o, peggio, strumenti di manovre politiche e di palazzo. Sciocchezze, professor Monti: lei è presidente del Consiglio, e come tale non solo non ha il diritto di prendere cappello, ma ha il dovere di rispondere dialetticamente a chi interpreta gli umori dell’opinione pubblica e a chi produce idee e lancia proposte. Suvvia, lei lo ha fatto con i politici – ricorda quei suoi appelli “ditemi, sono qui per ascoltare e imparare” lanciati nelle aule parlamentari e di commissione? – dai quali sapeva benissimo che non avrebbe potuto raccogliere uno straccio di idea neanche a spremerli, e si chiude a riccio, adontandosi persino, con editorialisti, economisti e colleghi professori? Per poi magari chiamarli e dar loro qualche incarico! Capisco che chi è disabituato al confronto politico faccia fatica a sottoporsi al rito del dibattito. E capisco pure che la dialettica politica degli ultimi anni è stata così squalificata che ora chiunque si sente autorizzato ad aprire la bocca. Tuttavia, il momento richiede saldezza di nervi e comprensione del fatto che il Paese va coinvolto se si vogliono prendere decisioni difficili, come fare le sempre evocate e mai realizzate riforme strutturali. Vede, Presidente, Lei di fronte alla scoperta di un buco nelle entrate tributarie di 3,5 miliardi che, si badi bene, non deriva da un minor gettito (che, invece, è aumentato nel primo quadrimestre rispetto allo scorso anno) bensì da uno scarto con quanto previsto (erroneamente) nel Def, se ne è uscito dicendo che sulla cosiddetta “lotta all’evasione fiscale” si dovrà essere “ancora più duri”, perché “certe azioni della Guardia di finanza, che hanno fatto prendere un pizzico di salutare paura in più al contribuente” hanno dato “buoni risultati”. Ecco, se mi consente, questo significa sfidare l’opinione pubblica senza neppure avere buone carte in mano. Perché il tanto incensato contrasto agli evasori ha sì fatto registrare (nei primi quattro mesi del 2012) un aumento di incassi del 3,7%, ma in valore assoluto ciò ha corrisposto a solo 74 milioni di euro. Briciole, per il bilancio dello Stato. Così andando le cose, il totale della lotta all’evasione a fine anno si aggirerà intorno ai 6 miliardi di euro. Lei è proprio sicuro che ne sia valsa la pena, se sull’altro piatto della bilancia si mette che il “terrore fiscale” ha generato fughe di capitali all’estero, ha indotto a cancellare investimenti e rinviare consumi, ha reso i beni di lusso e più in generale la ricchezza oggetto di riprovazione sociale? Quanto vale tutto questo in termini economici? Io penso che tentare di risolvere i nostri problemi con il “moralismo fiscale” non solo sia sbagliato, ma addirittura controproducente. Perché non discuterne? E perché Lei, professor Monti, in questi mesi ha lasciato cadere nel vuoto le proposte che sono venute da molte parti sul taglio del debito come obiettivo del risanamento e come strumento del rilancio dell’economia? Ci sarebbe stato (e c’è ancora) tutto il tempo per impostare una grande operazione di dismissione del patrimonio pubblico – per realizzare la quale chiedere il concorso della ricchezza privata, in modo non vessatorio – e di significativo taglio (7-10 punti di pil) della spesa corrente, cui far corrispondere un proporzionale abbassamento della pressione fiscale su imprese e lavoro. Un programma che avrebbe dato al suo governo, professor Monti, una tale credibilità da rendere indispensabile la sua prosecuzione anche oltre il 2013, trasformandosi in un vero e proprio esecutivo di grande coalizione. Ma Lei, inspiegabilmente, si è sottratto. E così agli occhi di un numero sempre crescente di italiani appare ogni giorno di più come quello che “tira a campare”, vittima sì del ringalluzzimento autodistruttivo (più lo fanno più perderanno voti) dei partiti – che avrebbero taciuto se il governo avesse continuato a non tentennare come è stato nella prima fase (si pensi alla riforma delle pensioni passata senza neppure un’alzata di sopracciglio) – ma anche dei propri limiti strategici e di comunicazione. Del governo Monti, invece, c’è ancora molto bisogno. È indispensabile per rappresentare l’Italia nell’infuocata (e pericolosissima) arena europea. Serve perché i partiti non sono minimamente preparati alle elezioni (e non solo a quelle anticipate, per la verità) e nessuno si è premurato di costruire scenari politici chiari per il futuro. Ma serve nella misura in cui cambia decisamente, e rapidissimamente, strada. Prima che sia troppo tardi.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.