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Al suo posto, io...

Caro Casini

Lettera aperta al leader Udc

di Enrico Cisnetto - 14 aprile 2012

Se io fossi Pierferdinando Casini mi sgancerei dall’accordo sul finanziamento ai partiti raggiunto da quelli attualmente rappresentati in parlamento e avanzerei una proposta autonoma e diversa, molto diversa. Ho proprio l’impressione, infatti, che se c’è una chances per chi sta dentro il recinto della politica di uscir vivo dai prossimi appuntamenti elettorali, essa passa dalla capacità di auto-rappresentarsi agli occhi degli italiani in modo distinto e distante dal resto della “politica militante”. Non si tratta né di alimentare né di subire la tendenza, per molti versi pericolosa, del rifiuto della politica, che sta – per colpa di un ceto politico mediocre e ribaldo – imperversando nel Paese. Ma di prendere atto, questo sì, del livello di disgusto e rifiuto che i cittadini hanno e farci i conti prima che alle elezioni siano loro a fare i conti con i partiti – tutti, senza distinzione alcuna – negando il consenso ai soggetti esistenti e dando deleghe in bianco a chiunque, dicasi chiunque, abbia la possibilità di presentarsi come “nuovo”. Dunque, è proprio per scongiurare una nuova deriva “nuovista”, dopo quella dagli effetti devastanti del 1992-1994, che occorre fare in modo che chi abbia in mente un progetto di “ricostruzione” del Paese e si voglia intestare l’apertura di una nuova stagione politica virtuosa (la Terza Repubblica), venga percepito come “nuovo” anche se ha una provenienza antica. L’Udc prima e il Terzo Polo poi, hanno fin qui cercato di centrare questo obiettivo prendendo le distanze dal bipolarismo armato e per molti versi dall’intera esperienza della Seconda Repubblica. Fino a qualche tempo fa – cioè prima che il governo Monti aprisse una fase di discontinuità che speriamo sia propedeutica ad un cambio di regime politico – poteva essere sufficiente. Ma da quando gli italiani hanno scoperto che si può governare con altri mezzi e stile, aumentando così il loro distacco dai partiti esistenti, occorre una scelta più drastica. Bene essersi allontanati dalla contesa bipolare, benissimo aver favorito e sostenuto il governo della discontinuità, ma adesso c’è bisogno di un segnale più forte. E con l’aria che tira, dopo quanto è emerso con il “caso Lusi” e dentro la Lega – e quanto probabilmente ancora accadrà, un po’ ovunque, se i rumor che si sentono sono fondati – il punto su cui far leva è proprio quello del finanziamento dei partiti. Diciamo subito che quanto è emerso finora, decreto o disegno di legge che sia, non va per nulla bene. Sia per le modalità di controllo delle spese – basta con le authority, che inevitabilmente sono nominate da chi dovrà essere controllato – sia per l’entità dei denari a disposizione. Ma soprattutto perché la normativa che in fretta e furia si vorrebbe adottare non incide assolutamente sia sul nodo fondamentale del finanziamento privato – e dunque sul rapporto affari-politica le cui distorsioni non sono mai state davvero affrontate fin dai tempi di Tangentopoli – sia sulla fisionomia dei partiti, che devono smettere di essere “personali” e tornare alla sana abitudine della partecipazione e delle regole democratiche. Come ha giustamente osservato Davide Giacalone, vicepresidente di Società Aperta, “l’obiettivo da raggiungere non è mettere sotto tutela la politica, ma liberarla”. Per questo sono d’accordo con la sua proposta: abolire il finanziamento pubblico in denaro dei partiti, che deve invece essere affare dei cittadini in modo volontario, anche – io aggiungo, soprattutto – verso quelle formazioni politiche, associazioni e movimenti che non sono ancora rappresentati in parlamento ma intendo provarci; mantenere un finanziamento in servizi diretti (edifici, collegamenti telefonici e internet) e indiretti (spazi di comunicazione). Qualcuno aggiunge: rendiamo questi finanziamenti privati detraibili dalle imposte (non dall’imponibile), per esempio assegnando ad ogni contribuente che lo desideri un voucher anonimo per un ammontare pari all’1% dell"imponibile, che poi girerebbe al partito o movimento preferito, mantenendo intatta la privacy; ; mentre sarebbe obbligatorio rendere pubblici finanziamenti, non detassabili, di entità superiore. Insomma, la chiave è: i partiti attuali sono delegittimati agli occhi degli italiani, il finanziamento pubblico – che io non demonizzo, per carità – serve a consolidare un esistente che invece deve essere superato. Perciò abolirlo in questo momento – magari per poi reintrodurlo un domani quando le cose saranno cambiate, certo con ben altre regole – è necessario al fine di favorire quella dialisi del ceto politico e delle sue forme di rappresentanza che gli italiani pretendono. E che se non verranno li vedranno costretti o ad astenersi o a dirottare i loro consensi su chi innalzerà la bandiera della protesta qualunquista. Ecco perché se io fossi Casini sceglierei questa strada. Non per il gusto di rompere con “A e B” (Alfano e Bersani), ma per costruire quella forza politica nuova di cui lui stesso parla da tempo come di una necessità inderogabile, sia come evoluzione di Udc e Terzo Polo, sia soprattutto per il bene del Paese che rischia di rimanere orfano di offerta politica adeguata sia per il palato dei moderati che dei riformisti. Naturalmente, questo passaggio non basta, una forza che voglia essere davvero nuova ha bisogno di un’inedita identità valoriale e capacità programmatica. Ma quello della ricostituzione del rapporto fiduciario con i cittadini, che si snoda tra ruolo e finanziamento dei partiti e restituzione del diritto di scegliere i propri rappresentanti, è il primo tassello, senza il quale tutto il resto sarebbe un inutile sforzo.

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