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A margine del congresso della Uil

Caro Angeletti, saluta il bipolarismo

Più importanti le ragioni elettorali delle politiche: niente spazio per i soggetti sociali

di Enrico Cisnetto - 04 novembre 2005

In vista del suo prossimo congresso, la Uil ha inaugurato ieri un ciclo di seminari sul “sindacato e la politica”, partendo dal nodo del rapporto tra la concertazione e il bipolarismo. Scelta meritoria, quella di Luigi Angeletti, perchè consente di ragionare – tra l’altro in una fase ormai pienamente elettorale, dunque priva di spazi di riflessione – su cosa bisognerà fare un momento dopo il fatidico 9-10 aprile 2006, quale che sia l’esito della consultazione. La domanda di partenza posta dalla Uil – la concertazione è finita, o è possibile rilanciarla? – è stringente ma anche un po’ datata. Perchè i grandi interessi organizzati, e il sindacato ne costituisce uno dei più importanti, dovrebbero aver compreso che il problema italiano non è solo quello della mancanza di mediazione tra governo (o governi, se si considerano gli enti locali) e i corpi intermedi della società – assenza che non dipende affatto dal sistema politico bipolare, ma dal combinato disposto tra una cultura politica conflittuale, la natura antagonista del sindacato e la propensiva corporativa degli imprenditori – ma è dato soprattutto dalla mancanza di decisione. C’è l’aspirazione decisionista (più governo, meno parlamento), ma non si traduce in governabilità. Quante volte il sindacato ha contestato i governi della Seconda Repubblica per ciò che hanno fatto, quante per ciò che hanno minacciato di voler fare e quante per ciò che non hanno fatto? Se si sommano la seconda e la terza condizione, si vedrà che rappresentano la stragrande maggioranza della casistica di scioperi e manifestazioni.

Voglio dire che se il tema della rappresentatività posto da Angeletti viene sposato con quello della governabilità, ne consegue che ad essere posto in discussione è il bipolarismo all’italiana, che da un lato sacrifica il lavoro di mediazione degli interessi nella presunzione che essi siano già rappresentati e “filtrati” dalla coalizione che vince, e dall’altro non produce (strutturalmente, sia con il centro-sinistra che con il centro-destra) alcuna politica che combatta il declino e ribalti il piano inclinato su cui scivola ormai da 15 anni il nostro sistema socio-economico. Ed è su questo che suggerisco al sindacato di riflettere, così come ho sollecitato a farlo la Confindustria: finchè ci sarà questo bipolarismo che antepone le ragioni elettorali a quelle politiche, non ci potrà essere spazio non tanto per i soggetti sociali – uno potrebbe anche dire chissenefrega – quanto per gli interessi che essi rappresentano. Hai voglia di chiedere la concertazione o di sofisticare sul concetto di dialogo sociale, è il governo dei problemi di fondo del paese che manca. Ma c’è un’altra riflessione che mi sono permesso ieri di sollecitare agli amici della Uil, e che qui voglio riproporre: io credo che il bipolarismo sia in crisi non solo in Italia, per le patologie di cui si è detto, ma in tutta Europa. Ho già scritto sul Foglio che il “pareggio” tedesco – per nulla casuale – che ha portato al governo Merkel di Grosse Koalition, come pure il no francese e olandese al trattato costituzionale Ue, sono il segno che le opinioni pubbliche continentali avvertono che l’Europa è vittima (perchè non la padroneggia, ma la subisce) di una profondissima trasformazione derivante dal fatto che, da un lato, non può più essere il luogo dove si produce, visto che i paesi emergenti sono in grado di farlo a costi imbattibili, mentre dall’altro fatica a contendere agli Stati Uniti il ruolo di chi genera e gestisce il valore aggiunto della conoscenza. Insomma, l’Europa ha perso a favore di Asia e Usa sia la sfida della competizione globale sia la scommessa della rivoluzione tecnologica. La sua economia è rimasta “analogica”, mentre il mondo viaggia in “digitale”.

Ora, in questo processo epocale dobbiamo – niente meno – individuare un nuovo modello di sviluppo, cambiare il capitalismo che lo incarna e realizza, trasformare i sistemi di welfare attraverso strumenti diversi da quelli tradizionali. Si tratta di scelte che, soprattutto nel breve termine, comportano prezzi salati da pagare: farle è difficile, non farle è esiziale. Ma la pre-condizione è disporre un alto tasso di consenso, senza il quale le spinte conservatrici e corporative – quelle degli interessi e dei diritti acquisiti – finiscono col prevalere. Di conseguenza, occorre dotarsi di meccanismi di voto che premino più la convergenza che la concorrenza elettorale, e di sistemi politici che realizzino il più alto tasso di omogeneità possibile.

In conclusione: caro Angeletti, se rivuoi la concertazione buona (quella del 1992-94), metti in mora il bipolarismo.

Pubblicato sul Foglio del 4 novembre 2005

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