Cari Barilla, i servizi servono alla manifattura
In Confindustria si litiga per questioni di lana caprina, mentre la realtà del capitalismo è altradi Enrico Cisnetto - 31 maggio 2013
Non perché il tema non meriti attenzione: negli ultimi anni la condizione reale e il profilo d’immagine delle aziende produttrici, specie di quelle più grandi e di quelle piccolissime, hanno subito rovesci. Ma il loro nemico non sono state, e non sono, le imprese del terziario, e neppure le utilities, che comunque valgono il 68% del pil contro il 32% del manifatturiero (indotto compreso). Al contrario, la divisione passa trasversalmente l’uno e l’altro fronte, separando le imprese che stanno sul mercato e hanno i numeri per farcela da quelle che sono destinate a soccombere. Barilla parla di conflitti d’interesse. Vero. Ma si tratta dei conflitti che contrappongono gli interessi delle aziende (e dei loro lavoratori) che sono in debito di ossigeno – per ragioni di prodotto, di capacità di competere sul mercato o di internazionalizzarsi – rispetto agli interessi di quelle (e quelli) che vanno bene e non hanno alcun vantaggio da trarre se le (poche) risorse a disposizione sono spese per difendere l’indifendibile e il trapassato.
Caro Barilla, ammesso – e in parte concesso – che in Confindustria i vertici siano tirati per la giacca da più parti, non sono convinto che il gioco che hai voluto denunciare sia quello da te rappresentato. Non so a quali aziende tu pensassi quando hai lanciato questo stralo, ma sono sicuro che converrai con me su tre cose. Primo: in molti casi è difficile distinguere dove finisce la manifattura e iniziano i servizi (penso, per esempio, alle aziende produttrici e distributrici di energia e alle società di telecomunicazioni). Secondo: che senza il supporto dei servizi, oggi le imprese industriali non vanno da nessuna parte. Terzo: pesa di più, negativamente, chi tenta di tenere aperte imprese decotte e mantenere posti di lavoro non più esistenti, rispetto a qualunque altro interesse, e che questi “conservatori” siano i veri “falsi amici” da cui conviene separarsi. O no?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Società Aperta è un movimento d’opinione, nato dall’iniziativa di un gruppo di cittadini, provenienti da esperienze professionali e politiche differenti, animati dalla comune preoccupazione per il progressivo declino dell’Italia, già dal lontano 2003, quando il declino dell’economia, almeno a noi, già era evidente come realtà acquisita. L’intento iniziale era evitare che il declino diventasse strutturale, trasformandosi in decadenza. Oltre a diverse soluzioni economiche, Società Aperta, fin dalla sua costituzione, è stata convinta che l’unico modo per fermare il declino sarebbe stato cominciare a ragionare, senza pregiudizi e logiche di appartenenza, sulle cause profonde della crisi economica italiana e sulle possibili vie d’uscita. Non soluzioni di destra o di sinistra, ma semplici soluzioni. Invece, il nostro Paese è rimasto politicamente paralizzato su un bipolarismo armato e pregiudizievole, che ha contribuito alla paralisi totale del sistema. Fin dal 2003 aspiravamo il superamento della fallimentare Seconda Repubblica, per approdare alla Terza, le cui regole vanno scritte aggiornando i contenuti della Carta Costituzionale e riformulando un patto sociale che reimmagini, modernizzandola, la costituzione materiale del Paese. Questo quotidiano online nasce come spin-off di Società Aperta, con lo scopo di raccogliere riflessioni, analisi e commenti propedeutici al salto di qualità necessario