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La caccia, interrotta, ai boss

Carabinieri mafiosi

La denuncia del Maresciallo Masi, l'uomo a cui ordini dall'alto hanno impedito di scovare Matteo Messina Denaro.

di Davide Giacalone - 06 maggio 2013

Abbiamo un problema: l’Arma dei Carabinieri è affiliata alla mafia. Oppure ne abbiamo uno diverso: un sottufficiale dei Carabinieri sta cercando di dimostrare che i Carabinieri sono asserviti alla mafia, con una singolare particolarità. Non saprei dire quale dei due, so per certo, però, che una faccenda di questo tipo non è competenza della magistratura (cui spettano indagini e processi), ma del governo (cui spetta politica e amministrazione dello Stato).

Il fatto. Il Corriere della Sera pubblica, senza commenti, senza aiuti alla memoria dei lettori, senza alcun corredo critico, ma, anzi, con gran evidenza nel titolo, il dettagliato resoconto di una denuncia, presentata dal maresciallo Saverio Masi. Ne riporto i punti salienti: 1. Il carabiniere si sentiva tagliato per la ricerca dei latitanti, ma viene assegnato ad altro incarico, ciò non di meno, di sua iniziativa, si mette sulle tracce di alcuni boss; 2. Viene individuato il luogo dove potrebbe nascondersi Bernardo Provenzano, ma il Ros dei Carabinieri, recatosi colà per apporre delle microspie, s’accorge di non avere portato gli attrezzi per forzale la porta, e desiste;

3. Nel frattempo a Masi erano stati affidati dei pedinamenti, ma gli viene ordinato di sospenderli; 4. Masi scopre, in un terreno abbandonato e adibito ad una abbandonata demolizione delle macchine, un casotto con dentro una macchina da scrivere, che potrebbe essere servita a Provenzano per scrivere i “pizzini”, chiede di battere su un foglio le lettere, in modo da fare un confronto, ma il suo superiore glielo impedisce, ne nasce una vivace discussione a esito della quale apprende che anche in altri casi quei controlli erano stati omessi; 5. Masi crede di avere trovato il postino di Matteo Messina Denaro, ma mentre lo pedina e quando chiede di intercettarlo, lo mandano in vacanza per Natale, al suo ritorno apprende che è saltato tutto; 6. Masi, allora, con un collega, procede privatamente, fa degli appostamenti e, nella notte, entra in un casolare, dove attorno a un tavolo ci sono delle persone, fra le quali riconosce il capo, Messina Denaro, quindi prontamente si butta dietro una siepe, per non essere visto; 7. Torna in caserma, avverte il superiore, ma quello lo ferma e gli dice: “Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella?”. Masi resta impressionato, perché nessuno sapeva che sua sorella era disoccupata; 8.

Nel 2004, sulla strada per Bagheria, un’utilitaria sta per venirgli addosso, lui impreca, la schiva, ma si accorge che alla guida c’è Messina Denaro, prontamente lo segue e lo vede entrare dentro una villa, dove lo attende una donna; 9. Fa rapporto, ma i superiori gli dicono di tacere l’identità del proprietario della villa e della donna, quindi mettono tutto a tacere; 10. Nove anni dopo Masi ritiene che sia giunto il momento di sporgere denuncia.

Come scrive testualmente il Corriere “per uno strano intreccio di vite”, giusto mentre il magistrato che Masi scorta è impegnato a sostenere che alcuni carabinieri avevano favorito la mafia. Fa la denuncia ora che vive a contatto con il pm del processo. “Per uno strano intreccio di vite”. E questa non è sciasciana, perché il maestro di Racalmuto non ebbe mai di tali cadute. L’articolista invece sì, tanto che trae la sua morale perfetta: Masi fa la fine di Bellodi (il carabiniere de “Il giorno della civetta”).

Giuro, cari lettori, che non ho aggiunto nulla, semmai ho tolto (ho tolto, ma adesso lo metto, ad esempio, che un boss italo americano chiama un autoctono e gli dice che al Columbus day ci deve essere Berlusconi, che è anche amico di Bush, e quello, spiccando il suo idioma natio, gli risponde: “certo, come lo vedo, glielo dico”). Ora, a parte le cose romanzesche, ma da romanzo comico, perché l’idea che i mafiosi si riuniscano, un carabiniere entri, riconosca il capo dei capi e si dilegui inosservato, dice che i mafiosi sono cretini e i guardiaspalle ebeti, per non dire del capo che guida male e va dalla signora, e per tacere del superiore che preserva la privacy della citata. A parte ciò, per organizzare roba simile, liti pubbliche e indagini revocate comprese, servono legioni di carabinieri affiliati alla mafia. O uno affiliato al pm. La faccenda non può che essere di competenza governativa.

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