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Cosa imparare dalla storia del nostro Paese

Cara Merkel, non perdiamoci di vista

Italia e Germania hanno condiviso un progetto paese. Recuperiamolo. Con il loro esempio

di Alessandro Marchetti - 28 marzo 2007

Quando la storia lavora per noi. Il sociologo Micheal Sturmer ha studiato per anni la storia nazionale tedesca, spesso in chiave comparata con quella dell’Italia contemporanea. Con la sua opera ci spiega quanto abbiano viaggiato in parallelo i due paesi. Nel recente passato, ce n’è ampia traccia: unificazione nazionale, imperialismo e industrializzazione tardive, dittatura. Nel suo libro “I confini della potenza” edito da Il Mulino, ha parlato dei due paesi come di costretti, nel secondo dopoguerra, a sostituire “la spada alla lira”. Allegoria interessante, che significa che Italia e Germania, oppressi dalla dittatura e poi disastrati dalla guerra, nel secondo dopoguerra hanno fatto della ricostruzione prima e del rilancio economico poi la mission di un intero Sistema-Paese. Sostenuto da un adeguato sistema politico, sentito dalla stragrande maggioranza del ceto medio, condiviso da una generazione di classe dirigente.

Un destino che ha compromesso per i decenni a venire non solo la vocazione alla difesa orgogliosa dei propri confini territoriali, ma la stessa idea di nazione, come Ernesto Galli della Loggia spiega nel bel saggio “La Morte della Patria”: quale principio fondante una comunità nazionale, ma anche come valore di riferimento per le famiglie politiche di una moderna democrazia. Tutti percorsi utili a capire che, in fondo, in cinquant’anni di storia repubblicana, Italia-Germania non è stata sempre e solo una semifinale di coppa del mondo. Ma soprattutto il riferimento non è banale se si pensa quanto, e soprattutto perché, in questi giorni si è tanto parlato di Germania.

Intendiamoci, scoprirsi germanofili non è l’hobby del momento. La stessa recente visita a Roma del cancelliere tedesco Angela Merkel, malgrado si tratti di una consueta visita di Stato, non ha propriamente i risvolti di una gita di piacere. La realtà è che, fino a qualche anno fa, la Germania sembrava vivere un declino in parte parallelo a quello nostrano. Non solo. In quasi tutte le sfide che la globalizzazione dei mercati sta ponendo sul tavolo dei sistemi politici, in termini di governance dell’economia e di riduzione dei centri decisionali, i tedeschi hanno dimostrato di saper arrivare sempre un attimo prima degli altri. E, ahimè, addirittura settimane e mesi prima dell’Italia. Dal lancio della famigerata (da noi) Grosse Koalition, i cugini tedeschi hanno innescato la marcia giusta grazie al pragmatismo di Angela Merkel: in un anno e mezzo le pensioni, “alleggerimento” del welfare e un ferreo controllo dei conti pubblici. Anzi, più che ferreo, bisognerebbe dire tedesco. E ancora, in questi giorni è arrivata, da Berlino, la lezione europea. Quella che la Merkel ci ha dato restituendo alla firma dei Trattati di Roma il fascino e il ruolo che meritano, e dimostrando di non aver spostato di un millimetro il suo europeismo.

Ora: non c’è nulla di nuovo, visto dal loro punto di vista, nella coabitazione fra socialdemocratici e democristiani in caso di pareggio elettorale. Specie se a chiedere uno sforzo per il contenimento della conflittualità è il bene del Paese. Questo, se da loro è collaborare nel nome dell’interesse generale, da noi è inciuismo. E fra il bene del Paese, all’interno di quella comunità politica, che pure ha una dialettica interna spesso accesa e conflittuale, c’è anche una forte convinzione europeismo. Condivisa, sentita e rilanciata. Il concetto, se si vuole, è quello del “right or wrong, it’s my country”. Inglesissimo si, ma buono da riiclare. A Berlino lo sanno e agiscono di conseguenza. In Italia, a stento si trova qualcuno che dia il buon esempio. E si che di europeismo si vive da tempo. Allora se ai cugini tedeschi ci accomuna un passato, remoto e non, per il futuro non sarebbe male tenersi in contatto.

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