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Public Policy

La Basilicata insegna

Cancellare le regioni

Spendono, sprecano e sono in mano a potentati. Nel 1970 avevano un senso, oggi vanno chiuse

di Davide Giacalone - 20 novembre 2013

Ancora una volta le elezioni regionali portano alle urne meno della metà degli elettori. Si può osservare che la Basilicata è piccola, ma ciò aggrava il significato della disaffezione, visto che più è piccolo più l’ente territoriale è teoricamente vicino agli interessi dei cittadini. In ogni caso votò meno della metà dei siciliani, né altrove si sono viste scene d’interesse ed entusiasmo. Le regioni sono state istituite nel 1970, quando sarebbe stato logico chiudere le province. Quarantatré anni dopo le province sono cresciute ed è matura l’opportunità di chiudere le regioni.

I compiti delle regioni sono cresciuti. La spesa lo ha fatto esponenzialmente. La demenziale riforma del Titolo quinto della Costituzione ha dato loro troppa competenza legislativa. Dovrebbero essere divenute il vero centro dell’interesse politico ed elettorale, invece sono potentati spreconi. Se chiedete in giro quali sono le loro competenze c’è il rischio di apprendere che i cittadini hanno le idee più chiare sulle province. Se chiedete degli episodi di malcostume amministrativo e politico, molti esempi saranno riferiti a faccende regionali. Il fallimento è conclamato. Meglio estinguere questa costosa illusione.

Abbiamo alle spalle una lunga stagione in cui s’è disputato di federalismo. L’esito è simile a quello della stagione precedente, dedicata alla gnagnera dell’ecologismo: ci ritroviamo con un’Italia più sporca, più inquinata, incapace di smaltire i propri rifiuti, suicidatasi nel campo energetico. L’ecologismo politicante ha inquinato come nient’altro. Il federalismo fu la traduzione potabile del separatismo leghista, agitato più per far caciara che credendoci realmente. Poi fu bandiera che la sinistra scippò alla destra, portando all’improvvida riforma costituzionale, che scassò una Costituzione che già non era la più bella del mondo. Facendo schizzare costi e sprechi. L’unica versione raziocinante del federalismo sarebbe stata quella fiscale, destinata a ricondurre nelle mani di chi spende il compito di tassare. Ma non si è mai attuata. Alla fine abbiamo in mano istituzioni pretenziose, palazzi di un lusso superiore a quelli governativi, intrallazzi altolocati e ruberie da bassifondi. Potremmo anche dire: basta.

Il nostro è uno Stato unitario, che non diventerà mai federale (né s’è mai vista una cosa simile). Nella nostra storia nazionale e nella nostra realtà sociale hanno un ruolo importante i comuni. Anche piccoli. Il tema è quello del coordinamento funzionale delle aree omogenee, il che comporta non la chiusura dei municipi, ma delle municipalizzate. Per fare questo mestiere non servono organismi con potestà legislativa, ma con responsabilità amministrativa e contabile.

Se la politica esistesse, se ne occuperebbe. Anche perché trascurando tale tema andrà a finire che la parte relativa alla spesa verrà affrontata da qualche comitato per il taglio, mentre la parte relativa alla rappresentanza verrà risolta dalla diserzione dei pretesi rappresentati. Due soluzioni non prive di fascino, ma che hanno in comune un difetto: umiliano la democrazia. Purtroppo non si tratta di un’ipotetica, bensì di un’immaginaria: la politica non esiste. O, meglio, s’incarna nello sbattersi per conquistare il dominio di partiti impotenti. Ma, insomma, ove mai si riprendesse a ragionare di riforma dello Stato (urgente da troppo, quindi che può attendere) sarà bene non dimenticare la necessità di cancellare queste regioni.

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