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Diamo un senso al tempo altrimenti perso

Cambiare, non gemere

Agguantiamo la nostra sorte e usciamo dalla situazione infernale in cui ci ritroviamo

di Davide Giacalone - 11 giugno 2010

Il governo ha posto la fiducia sulla legge che regolerà le intercettazioni telefoniche, ovvero su un testo che non sarà risolutivo (se ne accorgeranno) e che non attiene alla sua attività più propria. E’ un tema rilevante, non c’è alcun dubbio, ma non direttamente uno strumento di governo. Che abbia posto la fiducia non mi scandalizza affatto, ma è significativo che ciò avvenga nel mentre si annuncia che non solo non sarà posta la fiducia sul testo del decreto anti crisi, ma che, anzi, saranno ben venute alcune modifiche.

La fiducia, insomma, è fatta valere dove, forse, non dovrebbe, e ci si rinuncia dove starebbe benissimo, perché l’amministrazione dei conti è materia che il governo non può contrattare, su cui, semmai, cade. Ecco, questo è il tema istituzionale del quale si discorre in modo improprio, con la solita concitazione sincopata, continuamente sommando i torti anziché mettere a confronto le ragioni.

Silvio Berlusconi ha detto che governare con questa Costituzione è un inferno. Pier Luigi Bersani ha risposto, con il solito tono scandalosamente scandalizzato, che sul quel testo ha giurato e se non gli piace deve andare via. I giornali, naturalmente, sono andati appresso alla sceneggiata, come fosse cosa seria. Non lo è, perché mancano le basi minime, affinché si parli con buon senso. La nostra Costituzione non solo è modificabile, ma è stata molte volte modificata. Il centro destra ha vinto le elezioni tre volte, dalla nascita della seconda Repubblica, quindi dal 1994. Lasciamo perdere la prima, ma la seconda ha governato per un’intera legislatura e la terza è già a metà del tempo disponibile. Se ritiene che sia impossibile governare con certe regole (e credo abbia ragione) le cambi.

Inutile che vadano a lamentarsene con quelli che li hanno votati acciocché lo facciano. E non s’illudano di far della geremiade un alibi, perché la nostra Costituzione è sicuramente figlia della cultura cattocomunista, per la semplice ragione che è figlia della storia, ma la libertà d’impresa, fatta di semplificazioni e deburocratizzazione, può essere agguantata anche senza cambiare l’articolo 41. Che pure merita d’essere cambiato.

In quanto a Bersani, abbia la compiacenza di non precipitarsi nel grottesco: anche lui, come ministro, giurò su un testo costituzionale che poi provvide a cambiare, per giunta in modo rozzo e con una maggioranza striminzita. Che avrebbe dovuto fare, dimettersi? Chi giura sulla Costituzione assicura di rispettarne il testo, tutto quanto, ivi compreso l’articolo 138, che ne regola la modifica. Di che va cianciando, allora?

Semmai, ove abbia tempo di seguire la vita politica e pubblica, dovrebbe essersi accorto di quando fu lo stesso Presidente della Repubblica in carica, che ha fra i doveri proprio quello di difendere la Costituzione, ad affermare che delle riforme erano necessarie, fummo noi, da questa tribuna, a rilevare la non normalità della dichiarazione, ricevendo una pubblica risposta dal Quirinale: il Presidente non viene meno ad alcun dovere, se afferma la necessità di ammodernare la Carta. Vero, solo che, secondo me, esce un po’ dai propri poteri, perché non ha compiti legislativi. In quella stagione, Bersani, dov’era? Sono convinto che la nostra democrazia ha bisogno di una sinistra seria e di governo, per questo trovo gravi ed irresponsabili certe cadute, più d’intelletto che di stile.

Come ha ricordato ieri Fausto Carioti, l’esigenza di riformare la nostra Costituzione risale già ai governi centristi, che prepararono il boom economico. La sua impalcatura è tale da rendere debolissimo il governo, laddove il processo che ha strutturato le altre democrazie occidentali (dalla statunitense all’inglese, dalla francese alla tedesca) s’è mosso in direzione opposta. Alla lunga, che qui è diventata lunghissima, quella debolezza contagia il sistema produttivo, facendo perdere competitività al Paese. Ma qui se ne parla sempre e non si quaglia mai.

Portando l’Italia a spasso su una macchina sbilenca, capita che, per compensare e mantenere l’equilibrio, si storca tutto il resto. E torno da dove sono partito: il governo presenta un decreto legge in materia di spesa pubblica, ma non solo non ne annuncia l’intoccabilità, come sarebbe ovvio, ne richiede la modifica. Non ha senso. Allora perché non lo avete presentato come vi sarebbe piaciuto, fin dal primo giro? Perché neanche il governo è coeso, e perché lo sfaldarsi dello Stato apparato consente la stesura di errori, anche grossi. Al tempo stesso, però, per porre fine ad uno strazio (che sarà inutile, lo ripeto) si mette la fiducia sulle intercettazioni. Che va anche bene, che è una conseguenza del modo rococò con cui si legifera, ma sarà difficile spiegare che per governare bene è più importante che le intercettazioni durino un dato periodo, piuttosto che la spesa pubblica sia tagliata in un punto anziché in un altro.

E’ una situazione infernale, condivido. Ma anziché essere fiamme al vento, come i due amanti veronesi, destinate a bramarsi e non toccarsi, sarà bene prendere esempio da Ulisse e agguantare la propria sorte: siamo a metà della legislatura, il tempo scarseggia, ma siamo ancora abbastanza lontani dalla scadenza per potere porre il tema della revisione costituzionale. Affinché si possa dire, un giorno, che quando tutto sembrava futile e ininfluente, rabbioso e impotente, capitò di leggere pagine galeotte, capaci di dare un senso al tempo altrimenti perso.

Pubblicato da Libero

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