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Uscire dall’euro è una follia, però…

C’è un disegno per escludere l’Italia

Fantapolitica? Forse, ma dopo i referendum un golpe per espellerci è diventato possibile

di Enrico Cisnetto - 10 giugno 2005

Grazie (si fa per dire) alla Lega e a Vittorio Feltri, da qualche giorno si discute se sia opportuno lasciare lo scomodo condominio dell’euro per la ridente villetta ristrutturata della lira. Tutti, o quasi, hanno detto che l’idea è quantomeno balzana, se non perniciosa, ma molti si domandano se dietro queste uscite dal tono demagogico-qualunquista non ci sia Silvio Berlusconi e il suo irrefrenabile desiderio di affrontare la campagna elettorale (se per caso non ve ne foste accorti, è già iniziata da un pezzo nonostante si voti fra un anno) all’insegna dello slogan “Prodi=euro, euro=fregatura/povertà”. Magari con l’aggiunta di un’altrettanto forte pulsione del Cavaliere a regolare i conti con Bruxelles che osa sanzionarci per eccesso di deficit, attraverso la minaccia di un’Italia che esce dal club di Eurolandia.

Naturalmente non è dato sapere se si tratta di ipotesi fondate, o se pure Maroni e soci hanno cavalcato la tigre del malcontento per l’euro pari a mille lire (magari per anticipare e scavalcare il buon Tremonti) e se banalmente Libero cerca di vendere qualche copia in più. Vale però la pena di non archiviare come boutade queste uscite, ma di usarle per ragionare intorno ad un’ipotesi esattamente opposta: non l’Italia che manda a ramengo l’Europa, ma quest’ultima che appioppa a noi un bel calcio nel sedere.

Provate a mettere in fila i seguenti fatti. In tempi non sospetti, quando ancora neppure una camicia verde aveva fiatato, il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi – che in fatto di moneta ha sensori sviluppati – sente il bisogno di sottolineare, più volte, che l’euro non si tocca e che bisogna pensare a rafforzare l’integrazione europea, non a indebolirla. Lì per lì sembrano sagge parole ma di circostanza. Poco dopo, però, arrivano alcuni micidiali articoli del Financial Times sulle difficoltà dell’economia italiana, sia sul fronte della tenuta del tessuto industriale sia su quello dei conti pubblici. E poi la copertina dell’Economist, con l’Italia in stampelle. Ma, soprattutto, filtra la notizia di una riunione del governo federale tedesco dove, alla presenza di alcuni economisti, si fanno i conti e le simulazioni di cosa accadrebbe se un paese (l’Italia) con un differenziale di crescita insostenibile rispetto al nucleo duro di Eurolandia dovesse uscire dalla moneta unica, indiscrezioni che danno alle già dure parole sulla salute dell’economia italiana del lussemburghese Jean-Claude Juncker, cui spetta la guida europea nel primo semestre, un suono sinistro. Se a tutto questo si aggiunge il peso del no francese e olandese al trattato costituzionale europeo, che implica un cambio di strategia di molti leader europei, ecco che si delinea uno scenario dove un golpe contro il paese, che doveva già stare fuori dall’euro al momento del suo concepimento, rappresenterebbe il compimento di un preciso disegno.

Fantapolitica? Può darsi. Ma ci si ricordi che nel club della moneta unica il pil italiano rappresenta il 16% del totale, mentre il debito made in Italy il 26% di quello complessivo. Inoltre, alle principali cancellerie del Vecchio Continente non sfuggono due cose. Primo: l’Italia, dopo una breve fase di allineamento delle performance alla media Ue, si è pericolosamente staccata dal gruppo e si appresta a chiudere l’anno in recessione o al massimo a crescita zero. E non si tratta di cattiva congiuntura, ma di un declino strutturale che l’effetto Cina (a proposito, interessante il dato fornito da Mario Deaglio: il 55% dello sviluppo mondiale è asiatico) non potrà che accentuare. Secondo: alle prossime elezioni saranno candidati premier due personaggi che all’Europa piacciono assai poco e sui quali non si fa per nulla affidamento per il futuro. Berlusconi per il malcelato disprezzo verso Bruxelles, per il suo filo-americanismo e per la (non) politica economica degli ultimi quattro anni; Prodi per il cattivo ricordo lasciato dalla sua presidenza della Commissione Ue. Giuste o sbagliate che siano, queste sono le cose che si pensano a Berlino come a Parigi, alla Ue come alla Bce. E far finta che non sia così, anche se fosse per un comprensibile sdegno patriottico, rischia di rendere più facile il compito di chi vuole metterci in riga. Che poi si tenti davvero di farci tornare forzatamente alla lira o che più “semplicemente” si voglia condizionare la nostra politica economica, non fa molta differenza. Sempre di marginalizzazione si tratta. Con una pesante conseguenza: colonizzare fino in fondo l’ancora ricco mercato di risparmiatori-consumatori rappresentato dagli italiani. Di questo dovrebbero ragionare coloro che non riescono a rendersi conto di come l’Italia fuori dall’euro sarebbe un relitto alla deriva.

Pubblicato sul Foglio del 10 giugno 2005

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