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Alcune sensazioni parigine in presa diretta

Burrascose ore di marea…studentesca

Cronaca di chi sta vivendo in prima persona i disordini in Francia. Uno sguardo “under 35”

di Claudia Moschi - 21 marzo 2006

Tre mesi fa scrivevo delle sommosse nelle banlieues parigine, dovute all’insofferenza verso una politica di integrazione non all’altezza con la proclamata civiltà francese. Oggi scrivo delle sommosse studentesche che investono il centro di Parigi (e tutta la Francia) in queste settimane.
Ieri sera, con tutta l’ingenuità creata da una bevuta in un jazz club, io e i miei amici decidiamo di andare a prenderci una crêpe alla Nutella a St.Michel, in pieno quartiere latino, a duecento metri dalla Sorbona, a pochi passi dalle sassaiole. Peccato che ce ne siamo ricordati solo quando, usciti dalla metropolitana, un paio di celerini ci hanno delicatamente preso per mano e “sospinti” verso la parte sicura del quinto arrondissement. L’atmosfera è di difficile descrizione: il sabato sera il Quartiere Latino trasuda vitalità: fiumi di giovani che passano da un ristorante ad un locale, con una bottiglia di vino rosso in mano e una crêpe nell’altro, canticchiando le canzoni che hanno ascoltato tutta la sera grazie ai vecchi juke box o ai moderni dj, o scoppiando a ridere per ogni sciocchezza che meriti una sana risata. Ieri sera prima di mezzanotte il quartiere latino delle crêperie e delle vinerie era immerso in un silenzio agghiacciante.
Nel crocevia dello “zucchero rarefatto” la piccola folla che si era arrischiata a trascorrere la serata nel quartiere bollente, si stringeva nei cappotti e chiudeva gli spazi vuoti tra una persona e l’altra. Nell’aria riecheggiavano le grida ed i cori del corteo che stava per attraversare la Senna, in carica contro le centinaia di poliziotti armati fino ai denti che li stavano accogliendo all’altezza della Fontana di piazza St.Michel. Ho contato le camionette, i pullman, le volanti, le moto che hanno sfrecciato in una via che normalmente è solo pedonale: un totale di 34 vetture, per un ammontare non ben definibile di uomini pronti a frenare la marea con sfollagente, gas lacrimogeni e prestanza fisica.
Tutti i giornali non fanno che paragonare questa protesta di livello Nazionale a quella del 1968. Ma la situazione è diversa. Le motivazioni sono diverse. Gli studenti sono completamente differenti dai loro genitori che hanno occupato la Sorbona 38 anni fa. Ieri sera, per essere sincera, ho maledetto la mia memoria perché trovarsi involontariamente nell’occhio del ciclone mi ha fatto andare in iperventilazione per qualche istante. Poi però ho pensato che avrei voluto essere anch’io tra quegli studenti che manifestavano per protestare contro una legge asfissiante nonostante la sua semplicistica abbondanza di vuoti normativi in cui, decisamente, si sta larghi. Oltre al fatto che volevo una crêpe, quello che mi ha impedito di raggiungere i miei coetanei e protestare per qualcosa che a detta di molti capiterà anche in Italia, è stata la paura della folla aggressiva a violenta. “La psicologia delle folle” di Le Bon. Ultimamente mi torna spesso in mente questo testo che ho studiato al liceo, e che presenta in maniera pressoché impeccabile come la massa si possa far travolgere da abili demagoghi, o incendiare da violenti fomentatori.
Fa paura la folla, perché il singolo perde qualunque aspetto di umana soggettività per alienarsi nel branco, e seguirlo nella follia cieca. Protestare e manifestare è giusto e doveroso quando il Governo propone leggi che alla maggioranza del popolo non conviene (siamo sempre in Democrazia, fino a prova contraria: l’80% dei diretti interessati è contrario all’approvazione di questo contratto, qualcosa vorrà significare). Il cavillo, secondo me, salta fuori quando la protesta viola la libertà di quelli che non vogliono manifestare, ancora prima di coinvolgere la violenza. Ognuno ha diritto ad una certa quantità di libertà di cui può usufruire secondo coscienza sino al momento in cui non interferisce con quella altrui. Questa è politica, questa è civiltà, questa è semplice buona educazione. Il corteo sfila per le vie della città innalzando il livello dei decibel con slogan di civile protesta e coinvolge anche cittadini che sono ampiamente al di sopra dei ventisei anni: disoccupati non più giovani, genitori di giovani disoccupati da troppi anni, giovani dai 27 anni che sono tutt’ora disoccupati… semplici simpatizzanti per le manifestazioni e chi più ne ha ne metta. Ecco che arrivano loro… gli idioti, senza alcun rispetto parlando. Aggrediscono con violenza di forma verbale e fisica, prendono pietre e le scaraventano contro le forze dell’ordine, rovesciano ed incendiano le macchine, sfondano le vetrine dei negozi e danno alle fiamme chioschi di giornali e librerie colpevoli di essere sorte in piazza della Sorbona. E allora lì io mi arrabbio e perdo qualunque combattività e propositività nei confronti del progresso “dal basso”. Poi mi arrabbio ancora di più perché da dieci giorni non posso più mettere piede nel Quartiere Latino senza sentirmi in colpa per aver trasgredito alle raccomandazioni di amici e parentado vario notevolmente preoccupato.
Il Contratto di Primo Impiego (CPE) non è completamente da buttare, ma ha molto da migliorare. Da un lato favorisce i neolaureati e più in generale i giovani disoccupati al di sotto dei 26 anni, permettendo loro di avere un contratto di lavoro con più facilità che in passato, e in un periodo in cui la disoccupazione dilaga è una Manna. Analizzando alla lente di ingrandimento il misfatto emergono: 1)precarietà per almeno due anni, con il rinnovo del contratto certo come un miraggio nel deserto; 2)la possibilità di essere licenziati senza una valida motivazione; 3) la tutela dei datori di lavoro che possono sfruttare per due anni un impiegato e licenziarlo allo scadere del limite imposto dalla legge o al compiere dei 26 anni d’età.
Il che si traduce più o meno in questo modo: posso essere studente laureato con o senza specializzazione ma non è detto che io trovi un lavoro nei due anni immediatamente successivi al conseguimento della laurea; oppure posso essere senza titoli di studio di livello superiore e cavarmela con lavori precari per un anno, ma non posso basare la mia vita su espedienti. Il Governo pensa di migliorare la situazione con una legge che mi tutela permettendomi di trovare più facilmente lavoro entro il compimento dei 26 anni. Effettivamente non è una cattiva idea, non male, davvero!
Supponiamo di essere una stakanovista, una zelante lavoratrice. Trovo un impiego per sei mesi o anche due anni, ma poi il mio datore di lavoro può licenziarmi senza una valida motivazione, per lo meno non riconducibile al mio impegno sul lavoro; oppure può decidere che non mi rinnova il contratto perché gli è stato utile sfruttarmi con un salario da precaria, così che, dopo avermi messa alla porta rispettando la legge, può assumere una nuova disgraziata di 24 anni. Allora i presupposti positivi lasciano spazio a quelli negativi. Il mio è stato un esempio limite, perché immagino che se io fossi una stakanovista sarebbero poche le possibilità che mi si licenzi perché non sono attraente. Sono certa, tuttavia, che siano in molti gli schiavisti (la mia non è un’accusa socialista né una denuncia del sistema capitalistico) che ne approfitterebbero senza doversi sobbarcare di sensi di colpa. Ad ogni modo una legge non è quasi mai perfetta, ma è perfettibile. E allora ecco giustificate le manifestazioni e le proteste. Ecco condannabili e deprecabili gli individui che rovinano un valido tentativo assimilandosi ai peggiori animali selvatici.

Pubblicato su www.liberalcafe.it

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