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Public Policy

Spesa pubblica: “un ritardo serio da colmare”

Bisogna andare nel concreto

È necessario varare un programma di politica economica insieme ad organico programma riformatore

di Angelo De Mattia - 15 ottobre 2009

In un dibattito sulla ricerca- un campo nel quale “c’è un ritardo serio da colmare” – non si può non affrontare l’”ordine delle voci della spesa pubblica”: e così ha fatto il Presidente della Repubblica, intervenendo in un convegno indetto dall’università La Sapienza di Roma. Il Capo dello Stato ha rilevato come esistano enormi difficoltà nel modificare le priorità della spesa che si sono andate consolidando attraverso comportamenti pluridecennali, che hanno attraversato diverse stagioni politiche, con il risultato di un volume di spesa che eccede largamente i limiti di un indebitamento normale e tollerabile. Occorre – ha sostenuto Giorgio Napolitano – affermare altre priorità nella distribuzione dei fondi pubblici.

Anche Il Presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha ricordato, in un editoriale su Il Messaggero, che un avanzo primario al 4 per cento l’anno, che andava ad abbattere direttamente il debito pubblico, era un impegno da lui assunto quale Ministro del tesoro che però non è stato mantenuto. Si potrebbe ricordare, a tal proposito, che anche in sede Ime ( il progenitore della Bce ) la delegazione italiana, con l’allora Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, aveva dato rassicurazioni, per conseguire l’ammissione dell’Italia alla moneta unica sin dalla prima fase - tema sul quale l’Ime avrebbe dovuto esprimere il proprio parere - che ci si sarebbe adoperati per pervenire a un avanzo primario intorno al 5 per cento.

In un contesto di ampie convergenze in sede teorica, ma anche nelle concrete esperienze di politica economica, Giorgio Napolitano ha affrontato con incisività , trattandosi di materia niente affatto estranea ai suoi studi e interessi di decenni , ma anche con particolare equilibrio – sottolineando la sedimentazione, nei decenni, di priorità oggi non più sostenibili - quello che ormai è un problema ineludibile: la riforma o, quanto meno, la razionalizzazione della spesa, dato il suo impatto sul debito e sullo sviluppo dei settori trainanti dell’economia del Paese.

Il suo è in richiamo alla necessità di agire per una rivisitazione, senza attardarsi nell’attesa di tempi migliori che non si sa quando sopravverranno. E l’occasione del richiamo è particolarmente felice, perché proprio in questi giorni anche il minimo, e non stabile, segnale di miglioramento di qualche dato economico viene presentato come rappresentativo di una condizione della nostra economia nettamente migliore di quella dell’economia di altri paesi, passandosi così da una situazione in cui si é fatto largo uso dell’”aver compagni al duol, scema la pena” a una diversa, fatuamente inorgogliendosi di star meglio degli altri, sol perché in un mese è apparsa una rondine, che, però, non fa primavera. E dimenticandosi dei nodi strutturali che avviluppano la nostra economia.

Ciò che giustamente chiede Giorgio Napolitano comporta un’opera fondante di un nuovo modo di decidere ed erogare la spesa , da parte dello Stato, cominciando con l’analisi e la razionalizzazione degli oneri correnti. Un comparto come quello della ricerca, in un Paese nel quale si intenda conferire un impulso forte al rilancio dell’economia, non può certo essere la cenerentola di oggi .E’ un comparto nel quale si incrociano esigenze materiali, relative allo sviluppo economico, con la necessità per una comunità di soddisfare i bisogni del sapere, del progresso in campo scientifico – che qualifica uno Stato – e, ancora, con la secolare spinta di Ulisse a “ seguir virtute e canoscenza”, superando le colonne d’Ercole dei saperi e degli specialismi del momento.

Ma, per un’opera della specie, è necessario un programma di politica economica e, forse, anche un intervento innovativo istituzionale. Si dovrà fare i conti con l’attuazione del federalismo fiscale, per la quale mancano ancora i necessari dati, la cui analisi non può non essere propedeutica all’adozione dei previsti decreti delegati, se non altro per la prioritaria esigenza, da un lato, che dal federalismo non scaturisca paradossalmente, subito o a una non lunga distanza di tempo, un aumento della spesa e, dall’altro, che però esso si realizzi nell’osservanza dei doveri di cooperazione nazionale e di solidarietà. Ma non è certo la panacea di tutti i mali, il federalismo, come lo si vuole presentare, addirittura additandolo come una misura di politica meridionalistica.

E’ necessario, invece, un programma di politica economica che agisca sulle entrate e sulle spese contestualmente. Bisogna andare nel concreto: non basta più sostenere l’abbattimento della spesa pubblica improduttiva o parassitaria, che diventa uno slogan che ognuno sostiene nel presupposto di comodo che non é parte in causa e che sono sempre gli altri a beneficiare delle distorsioni di questo tipo di erogazioni.

Ma se a questo tema cruciale sollevato dal Presidente – che involge il bisogno di un vero rinnovamento economico, intellettuale e morale – si vuole dare una risposta coerente, non a parole, allora occorre affrontare il tema delle riforme di struttura: sono i grandi comparti di spesa che vanno rivisti. E’ lo stato sociale che va rivisitato, razionalizzato e ammodernato, non per disperderne le conquiste – un tempo definite onore e vanto delle generazioni che le conseguirono – ma per renderle ancora sostenibili, per evitare che esse vengano travolte dai fenomeni della globalizzazione, per preservarne, almeno, l’essenza. E, poi, occorre proseguire sulla via della riforma della pubblica amministrazione, intervenendo sui punti nodali riguardanti il modo in cui essa decide, è organizzata, è controllata. Sarebbe necessario, in particolare, un piano d’impresa dell’amministrazione pubblica.

E’ parte di un obiettivo riformatore del comparto pubblico, la revisione del regime e delle attribuzioni delle Autorità di garanzia e di regolazione, della quale si parla, ormai almeno dal 2007, senza che si sia fatto un solo passo avanti, ad eccezione dell’allungamento della durata in carica dei vertici. E’ in questo versante che si dovrebbe dar prova della capacità di innovare. Così come occorrerebbe intervenire sul mercato del lavoro. Insomma, un programma come quello auspicato dovrebbe interessare tutti i fattori della produzione.

Senza affrontare il tema delle riforme di struttura, è assolutamente arduo dare un positivo riscontro al richiamo di Giorgio Napolitano. Difficilmente reggerebbe un intervento, che aspirasse ad essere riformatore, fondato sul tentativo di mutare soltanto le priorità della spesa, coeteris paribus.

Affrontare le riforme strutturali servirebbe a prepararsi ad uscire dalla crisi in condizioni indubbiamente migliori di quelle nelle quali vi si è entrati; libererebbe risorse per stimolare la ripresa; costituirebbe, in ogni caso, una rete di protezione per il momento, ancora non alle viste, nel quale sarà varata l’exit – strategy; cambierebbe il “ teatro” nel quale opera la politica economica; accrescerebbe la credibilità dello Stato come debitore, a cui ha fatto riferimento Ciampi, evitando di essere costretti, per il finanziamento pubblico, a emettere titoli con la scadenze sempre più brevi e a tassi maggiori.

Proporsi di fare tutto ciò significa mutare l’approccio agli sviluppi della crisi e predisporre una vera legge finanziaria per il prossimo mese di dicembre, senza puntare il grosso delle speranze esclusivamente in un condono, come quello fiscale, che potrà pure ad esse corrispondere, ma resta un provvedimento niente affatto apprezzabile e che ora vede, in sede applicativa, un allargamento delle coperture, erogate dalla decisione di sanatoria e di clemenza, dal dominus della società a quest’ultima: un allargamento di cui andrebbe valutata, innanzitutto per ragioni di legittimità, la portata, anche con riferimento ai limiti di una “ fonte secondaria” rispetto alla legge qual è la circolare dell’Agenzia delle entrate. Mutare approccio comporta l’abbandono della linea dello stare a vedere quel che succede e poi agire. Richiede un atteggiamento fortemente proattivo.

Ora è possibile che unanime sia l’apprezzamento per l’esigenza rappresentata dal Presidente della Repubblica: per il rilievo della tesi espressa non potrebbe essere diversamente. Ma di essa dovrebbero, altrettanto diffusamente, cogliersi tutte le inferenze, sia per il breve termine, con provvedimenti di emergenza, sia per il medio – lungo termine, con il varo di un organico programma riformatore, per il quale vi sarebbe bisogno di un’ampia convergenza di forze politiche, economiche e sociali.

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