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Tanto disinteresse per un Paese tanto vicino

Bielorussia, rivoluzione impossibile

Mentre Ue e Italia dormono, svaniscono le speranze per un “revival” dei fatti ucraini

di Pietro Paganini - 22 marzo 2006

Si votato in Bielorussia. In pochi se ne sono accorti, sia in Europa che in Italia. E altrettanto pochi sono a conoscenza del regime dittatoriale di matrice comunista che governa quel Paese mai liberatosi dall’influenza russa. Non sarebbe da stupirsi se stessimo parlando di uno staterello a decine di migliaia di chilometri da Roma e da Bruxelles. Invece no, Minsk dista meno di duemila chilometri da Roma, e confina con la Ue (Lituania a Nord). Nonostante ciò, nessuno in Europa né in Italia – e sebbene destra e sinistra in vista delle elezioni abbiano promesso grandi imprese internazionali – sembra essere particolarmente preoccupato che ai confini dell’Unione, e come cuscinetto con il gigante russo, ci sia un regime dittatoriale. Eppure l’Ue e la classe politica italiana hanno fatto promessa di battersi per i diritti dei popoli. Inoltre, Ue e Italia dovrebbero ben preoccuparsi del fatto che ai loro confini opera un paese che decide deliberatamente di rifiutare l’ingresso non solo a liberi cittadini come chi scrive, ma anche a parlamentari europei, giornalisti e diplomatici.
I maggiori quotidiani nazionali trovano naturalmente più interessanti le beghe da cortile che fanno da cornice ad una campagna elettorale priva di contenuti e ricca delle solite sciocchezze che hanno portato il nostro Paese ad essere il penultimo in Europa per competitività (grazie al cielo c’è la Grecia dopo di noi) e i nostri giovani ad essere esclusi dal fermento globale che, invece, unisce molti altri loro coetanei.
Peggio dei quotidiani e dei genuflessi giornalisti nostrani sono naturalmente i politici che, in queste ultime settimane, non fanno altro che sollevare questioni virtuali piuttosto che parlare di fatti empirici e di azioni politiche con cui risollevare il Paese da quella crisi da cui sembra – viste le premesse – neanche il prossimo governo sarà in grado di farci uscire, almeno per una boccata di aria fresca. Nemmeno i militanti radicali, così tanto attivi una volta, si sono spesi per la democrazia e la libertà di un popolo che chiede quotidianamente aiuto.
Eppure l’Ue dovrebbe avere interesse a “sollecitare” la fine della dittatura di Lukashenko e di garantire ancora prima di governi stabili e democratici, almeno un processo elettorale trasparente ed equo, dove le parti politiche e civili in gioco possano godere delle medesime opportunità. Oggi invece l’opposizione al regime è soggetta a continue “torture” da parte del governo di Minsk. Prima delle elezioni la repressione che ormai dura da anni contro le forse di opposizione è progressivamente cresciuta: i leder sono finiti più volte dietro le sbarre, gli attivisti politici sono soggetti a continui arresti, minacce, perquisizioni, e negazioni di qualsiasi libertà. In un viaggio recente organizzato dalla Gioventù Liberale Europea (Lymec), durante una riunione “clandestina” in una cantina, abbiamo potuto assistere sbigottiti all’irruzione di uomini del Kgb locale (hanno mantenuto il vecchio nome sovietico), che con una scusa banale hanno letteralmente sradicato dal muro i cavi del telefono e, quindi, della connessione ad internet. Per non parlare dei controlli che abbiamo subito da quando abbiamo lasciato il confine con l’Ucraina. Oggi purtroppo, alla nostra missione non è stato nemmeno concesso entrare in Bielorussia. Il visto ci è stato negato in tutte le ambasciate bielorusse sparse per l’Europa. Ugualmente, giornalisti e parlamentari non solo della Ue, ma anche di Paesi “amici” come l’Ucraina e la Georgia sono stati rispediti a casa perché “persone non gradite”.
Nonostante questo, mentre vi sto scrivendo da Kiev, alcuni attivisti della Gioventù Liberale Europea sono riusciti ad entrare in territorio bielorusso, superando regolarmente i controlli ai confini. Ma da loro non abbiamo avuto ancora molte notizie, anche perché i collegamenti telefonici sono difficili e Internet è stato bloccato, per cui è impossibile inviare informazioni da server interni. Mi sembra proprio che si stia ripetendo una situazione simile a quanto accadde due anni fa con la “rivoluzione arancione” in Ucraina. Anche allora, nonostante, per fortuna, condizioni diverse, molti nella UE si erano dimenticati di quanta poca libertà ci fosse e di quanto potenziale questo paese nascondesse. Se ne sono accorti prima gli americani che oggi hanno buoni rapporti con molti dei partiti politici che hanno guidato la rivoluzione. Siamo così all’ennesimo paradosso, in Ucraina è possibile acquistare in dollari, ma nessuno vuole gli euro. Per fortuna oggi alcuni partiti europei, tra cui noi liberali, sono riusciti a recuperare parte del tempo perso e a stabilire un legame forte con le organizzazioni politiche di aria liberale e riformista, allo scopo di diffondere le idee liberali e naturalmente costruire un governo democratico stabile.
La settimana prossima si voterà anche in Ucraina. Saranno probabilmente le prime elezioni libere, trasparenti ed “eque”. A quanto abbiamo potuto vedere e raccogliere incontrando i diversi leader politici, non si temono brogli eccessivi, come invece capitato nelle elezioni che hanno portato alle rivoluzione arancione. Anzi, tutti i partiti politici sono concordi nel riconoscere che saranno elezioni libere. Congratulazioni all’Ucraina, congratulazioni alla sua gente che nonostante ottant’anni di oscurantismo sovietico e quindici anni di regimi instabili controllati da Mosca, e senza troppi aiuti dalla Ue, è riuscita ad avviare un processo di liberalizzazione dell’economia e dei diritti individuali.
Il cammino da percorrere è ancora lungo, ma la passione e le motivazioni che guidano soprattutto i giovani sono impressionanti. Per questo gli italiani non devono temere soltanto Usa, India e Cina, i principali “concorrenti” sono ai confini dell’Europa, e molto presto, come nel caso dei paesi Baltici, e prima ancora della Romania e della Bulgaria, entreranno nel nostro sistema economico. Anche facendo finta di non sentire il loro richiamo di aiuto, anche bocciando direttive per la liberalizzazione come la Bolkestein, prima o poi il potenziale dei giovani dell’Est si riverserà come un uragano sui giovani italiani che oggi invece di guidare il loro paese fuori dalla crisi profonda non possono fare altro che assistere al pietoso spettacolo della campagna elettorale in corso (speriamo almeno rendendosi conto delle bassezze raggiunte).
Non ci aspettiamo una “rivoluzione arancione” anche in Bielorussia, le condizioni sono molto diverse da quelle dell’Ucraina di due anni fa. Il regime di “Luka” è troppo forte e diffuso, troppo forti i legami con la Russia. Oltre l’ottanta percento della popolazione lavora per lo stato, con contratti a termine, per cui la sola appartenenza a movimenti di opposizione vale il licenziamento. Scendere in piazza per denunciare i brogli elettorali e la mancanza di trasparenza è un rischio che in pochi sono disposti a prendere e forse non a torto, viste le condizioni economiche in cui versa il paese.
A questo non possiamo non aggiungere l’assenza quasi totale dell’Occidente. Se in Ucraina gli Usa si sono stabiliti strategicamente, in Bielorussia non lo hanno fatto, lasciando, come forse giusto, l’intera responsabilità ad una UE che come troppo spesso su questioni internazionali (questa non sembra essere una questione internazionale comunque, visti i legami e i confini), è latitante, assopita nelle sue questioni interne, nel lassismo di un continente stanco, appagato, in cui i diritti hanno superato i doveri, e in cui le corporazioni conservatrici hanno avuto il sopravvento.
I giovani liberali europei, mentre il nostro partito madre, Eldr, festeggia il suo trentennale (quanti italiani c’erano a ricordare Malagodi?), hanno organizzato dimostrazioni di protesta in tutta Europa, davanti alle ambasciate bielorusse. La nostra missione, rimasta per motivi di forza maggiore a Kiev, venerdì ha illuminato l’ambasciata bielorussa con le candele, per rompere l’oscurità con cui il regime avvolge la Bielorussia, ieri ha rotto simbolicamente una porta, oggi ricoprirà le mura di cinta dell’ambasciata con del sapone per lavare simbolicamente le brutture del passato.
Non ci sarà nessuna “rivoluzione arancione” a Minsk, ma questa volta alcuni europei hanno voluto e provato ad esserci, alcuni fisicamente, alcuni simbolicamente. La costruzione di un’Europa forte e competitiva passa proprio da qui, non certamente dalle protezioni o dalle barricate contro le liberalizzazioni. Solo una società aperta può dare maggiori diritti e migliore prosperità, a noi come ai nostri vicini.

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