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Il candidato alla segreteria Pd

"Bettino" Chiamparino

L'ex sindaco di Torino vuole un partito che sia “socialista e liberale” e un programma “lib-lab”, liberale e labourista. In pratica, Craxi quaranta anni dopo.

di Davide Giacalone - 20 maggio 2013

Sergio Chiamparino è in corsa per essere il segretario del Partito democratico. Credo sia una buona notizia, perché incarna una sinistra concreta, pragmatica e riformista. Credo anche, però, che sia utile, a lui e a tutti, non tacere i problemi politici, non provare a gestire un avvento basato sull’equivoco, ma prendere il toro, e la storia, per le corna. Per sfuggirlo già si sciolse il Pci, poi il Pds e quindi i Ds. Meglio non continuare.

Dice Chiamparino che vuole un partito che sia “socialista e liberale”. Poi fa esplicito riferimento al programma “lib-lab”, liberale e labourista. Praticamente Bettino Craxi quaranta anni dopo. Meglio tardi che mai, si può sostenere. Ma qualche volta è davvero un po’ troppo tardi, specialmente se si è condivisa la lunga contrapposizione con il socialismo riformista, soprattutto se si è stati ripetutamente eletti in coalizioni di sinistra che ne sono state la negazione. Siccome ritengo che Chiamparino sia sincero, e che queste cose le ha sempre pensate, farebbe bene a dirle in modo piatto e crudo: l’anomalia del sistema politico italiano mica sta solo sul lato del centro destra, ma s’incarna in quella prevalenza dei comunisti a sinistra, poi protratta sotto diverso nome, che sconfisse ed esiliò il più forte leader politico del nostro socialismo occidentale. E lo scrivo, comunque, continuando a pensare che lo stesso nome “socialista”, quello stesso paradigma culturale, era vecchio già ai tempi di Craxi. Figuriamoci adesso.

Posto ciò, il principale nemico di Chiamparino, se supererà lo stadio del mero annuncio di candidatura, è l’unanimismo. Malattia genetica del comunismo. Non è questione di convocare le primarie e rianimare le farse, ma di chiarire i termini dello scontro politico. Si faccia aiutare da Luigi Zanda (Loy). In questo modo: il capogruppo Pd al Senato ha voluto intimare al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di non nominare Silvio Berlusconi senatore a vita. La prima cosa da farsi è suggerirgli di leggere la Costituzione e di avere rispetto del Quirinale. La seconda di chiarirgli che non serve a nulla, è fallimentare, è morta la sinistra che si definisce solo per negazione dell’avversario. Riflettano su un punto: gli ultimi diciannove anni, con accelerazione temporale ed evocazione suggestiva, vengono dalla sinistra definiti “ventennio berlusconiano”, ma dal 1994 a oggi la destra ha vinto le elezioni tre volte, e la sinistra le altre tre: perché, allora, non compaiono nella definizione del ventennio? Perché sono state delle comparse, definibili solo per negazione. Hanno vinto, hanno governato, ma non se ne sono accorti neanche loro. Quindi dicano a Zanda (Loy) che speculare su questa debolezza e chiamare le truppe all’antiberlusconismo, per giunta provando a intimidire il Colle, è una superba corbelleria. Che non va superata con nonchalance, ma messa in minoranza.

Se Chiamparino non fosse capace di questo non potrebbe, poi, affrontare i difficili temi dell’economia e del lavoro, sui quali si devono rompere ben altri tabù, si devono estirpare piante con radici secolari. Inoltre, detto per inciso, l’ineleggibilità di Berlusconi è una castroneria giuridica e una bischerata politica, mentre il tema delicato è quello dell’interdizione, sollevarlo, però, è autolesionismo allo stato puro, sicché anziché fare i bulli e minacciare l’uomo del Colle farebbero bene a confortarlo, nel tentativo di chiudere una stagione che da dieci anni è in agonia.

Se Chiamparino sarà capace di fare queste cose avrà rifondato la sinistra, ribaltando gli equilibri culturali del dopoguerra. Avrà fatto del bene al suo schieramento, come anche al resto d’Italia. Siccome non è un lavoro facile, ma destinato a moltiplicare i conflitti, sarà meglio che cominci a evitare d’indebolirsi. Per dirne una: non sta bene che la candidatura alla segreteria di un partito sia governata e condotta dalla presidenza di una fondazione bancaria (la Compagnia San Paolo). Diciamo che, in quella posizione, dov’è giunto dopo avere fatto (bene) il sindaco di Torino, sostenere la non commistione fra politica e affari bancari risulta difficoltoso. Non ci sono incompatibilità di legge, sia chiaro. Ma è chiaro anche il problema.

E’ dal giorno del crollo del muro di Berlino, nel 1989, che la sinistra non riesce a trovare il protagonista e il momento di una rottura con il passato. Ovunque è considerato archeologia, mentre da noi gli ex comunisti si sono specializzati nel prendere in giro chi ricordava la loro identità. Tardi è tardi, molto tardi. Proceda.

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