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Come Cossiga fece con Andreotti

Berlusconi senatore a vita

Lasciare il cittadino Berlusconi al suo destino giudiziario, quale che sia , ma prelevare il leader dalla competizione elettorale e collocarlo in una posizione più neutra.

di Davide Giacalone - 08 maggio 2013

Siamo alla vigilia di due sentenze penali, per Silvio Berlusconi. Quale sarà il loro segno lo sapremo, ma è fin troppo evidente che il rilievo politico sarebbe ineludibile ove si trattasse di due condanne. O anche di una sola. Credo sia utile ragionarne in anticipo. Il cittadino Berlusconi resterebbe comunque un presunto innocente, perché nessuna delle due (ipotetiche, non lo ripeterò più) condanne sarebbe definitiva. Nel nostro sistema il “processo” è uno solo, e si compone di tre possibili gradi, senza l’ultimo non ci sono né condanne né assoluzioni, ma solo tappe verso la conclusione. Ovvio che essere assolti è assai più gradevole. Egli, però, non è solo un cittadino, ma un leader politico che oggi regge il governo. Non ha cariche istituzionali, ma ciò non diminuisce la carica istituzionale di quelle sentenze. Allora: che succederebbe, se venisse condannato?

Ci sono due errori, eguali e contrari, che devono essere evitati. Il primo consiste nel dire: non importa, è irrilevante, l’uomo è il catalizzatore di un vasto consenso elettorale, quindi chi se ne importa, dato che il giudizio del popolo prevale su quello dei giudici. Il secondo consiste nel dire: si tolga di mezzo, è finito, con questi verdetti il suo ruolo politico è insostenibile, faccia ricorso, ma si faccia anche da parte. La terza via, cui spesso ricorrono quanti sperano di non dovere affrontare i problemi, consiste nel puntare a un “salvacondotto”, che salverebbe la prima tesi dal giudizio penale e la seconda dalle conseguenze politiche. Ma tale istituto non esiste, nel nostro diritto, sicché chi ne parla non sa quel che dice.

Anziché mettere in evidenza quel che non torna, delle due tesi, proviamo a ragionare su quel che di vero contengono: a. non è saggio far fuori per via giudiziaria un leader politico che rappresenta una fetta vasta dell’elettorato (l’Italia ha già commesso questo errore e ancora ne paghiamo le durissime conseguenze); b. non è saggio immaginare che a governare, o a candidarsi al governo, sia chi potrebbe trovarsi a dover scontare una pena. Messa così è più sensata. Ma ancora complicata.

Si tratterebbe, allora, di porre nel centro destra il tema della leadership, perché l’elettorato che fa capo a quel raggruppamento preesisteva all’ingresso di Berlusconi in politica e gli sopravviverà. Immagino che non potrà essere raccolta da chi pensi di approfittare dell’azzoppamento dell’attuale capo, come anche da chi non ha saputo fare altro che ripetere le cose che lui diceva e dice. Una rottura è necessaria, ma dovrà essere fatta a partire dai contenuti e dalla rappresentanza degli interessi, davanti all’opinione pubblica. Non a partire dalle correnti e nel chiuso di stanze che sembrano vacanti, sia d’idee che di persone. E si tratterà di porre, al centro sinistra, la necessità di chiudere una stagione senza che, ancora una volta, come ricorrentemente capita nella nostra storia nazionale, un pezzo dell’elettorato debba sentirsi estraneo, se non avverso, a quel che poi succederà. Ciò comporta lasciare il cittadino Berlusconi al suo destino giudiziario, quale che sia (ed egli crede sarà roseo), ma prelevare il leader dalla competizione elettorale e collocarlo in una posizione più neutra. Francesco Cossiga seppe farlo con Giulio Andreotti, nominandolo senatore a vita. Quel posto è vacante.

Considero scontato che le vestali della contrapposizione, da una parte e dall’altra, giudicheranno oltraggioso e inaccettabile questo ragionamento. Ciò non di meno, a me pare che sia un ragionamento. Mentre quello di cui sono capaci le vestali può essere variamente definito, ma sarebbe ardito considerarlo frutto del ragionare.

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