Ma non sarà che il troppo stroppia?
Berlusconi e il sistema degli interessi
Voglia di decisionismo e consenso. Ecco il clima inedito nel quale si muove il governodi Enrico Cisnetto - 13 giugno 2008
Non c’è mai stato così tanto feeling tra un governo, come quello Berlusconi IV, e il sistema degli interessi. E’ qualcosa di più e di diverso rispetto ad una semplice “luna di miele”, e i segnali sono numerosi: dalla positiva relazione d’insediamento di Emma Marcegaglia alla presidenza di Confindustria alla prudenza di Mario Draghi nelle “considerazioni finali”, dal clima da stadio a favore di “Silvio” al tradizionale appuntamento di S.Margherita Ligure dei giovani confindustriali al plauso tributato dal presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi, al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, fino all’ultimo episodio, l’accoglienza trionfale concessa al premier ma soprattutto ad un bravissimo Maurizio Sacconi all’assemblea di ieri della Confartigianato, nonostante fosse lo stesso luogo e lo stesso presidente (Giorgio Guerrini) con cui proprio Berlusconi ebbe un epico scazzo.
E questi sono solo i momenti più espliciti di una lunga serie di ammiccamenti – dalla disponibilità ad aprire il portafoglio per salvare l’Alitalia mostrata al merchant banker di fiducia, Bruno Ermolli, al fermento delle lobby che si stanno organizzando intorno ai grandi temi del governo, infrastrutture e nucleare in testa – e di contatti riservati, tutti all’insegna del “fare”. Si tratta di un clima decisamente inedito, alimentato da una spasmodica attesa di “decisionismo”. Mercoledì ho partecipato all’assemblea annuale degli industriali di Piacenza, e nonostante non vi fosse alcun esponente di governo presente, l’aria che si respirava, alimentata dalla relazione del presidente Sergio Giglio, era proprio quella dell’attesa che “finalmente qualcosa si muova”.
Riducendo all’osso, nella testa degli imprenditori e degli uomini d’affari sembra prevalere questo ragionamento: abbiamo provato tanto il centro-destra quanto il centro-sinistra, ed entrambi hanno fallito; ora che tutti accettano l’idea che il declino c’è (ieri Sacconi ha usato l’espressione “siamo in piena emergenza economica e sociale”), e si è passati dalla fase del dibattito sul “se fare certe scelte” a quella “è venuto il momento di decidere”, affidiamoci al Cavaliere, che è “uomo del fare” e che nel suo partito e nella sua coalizione comanda senza dover cedere alle mediazioni. Dunque, viva Berlusconi, siamo in fiduciosa attesa.
Questa situazione ha un evidente e già percepibile vantaggio: il ridimensionamento del conflitto. Meno conflitto politico, come dimostra l’atteggiamento da “ombra del governo” dell’opposizione. Meno conflitto sociale, giacché l’umore degli imprenditori coincide con quello del ceto medio produttivo, che chiede “semplificazione, semplificazione, semplificazione” anche a costo di cadere nel semplicismo. E meno conflitto nel mondo del lavoro, visto che anche il sindacato appare “normalizzato”, probabilmente suo malgrado. E in una società altamente conflittuale come la nostra, non si tratta di cosa da poco. Ma è pure una situazione che presenta controindicazioni e pericoli, sia per gli interessi che per il Paese. Per i primi, il problema è di non passare da un’esagerazione ad un’altra. Fino a ieri, la (giusta) critica ai difetti del sistema-Italia faceva pensare che quel (poco) che resta delle elite del nostro capitalismo volesse surrogare la politica, rischiando di commettere lo stesso errore fatto all’inizio degli anni Novanta, quando dalla Fiat di Cesare Romiti partì l’attacco ai “politicanti” della Prima Repubblica che poi sfociò nell’operazione Mani Pulite.
Ora sembra esserci l’atteggiamento opposto – ma qui non denuncio una tendenza certa, indico un pericolo – cioè una delega in bianco che non solo non trova giustificazione nelle probabilità di vittoria della scommessa, ma che non è neppure utile ai fini del buon esito della stessa, laddove così facendo si rischia di alimentare la già naturale tendenza alla “politica degli annunci”, che rappresenta l’esatto contrario di quello che occorre se si vuole non solo decidere, ma soprattutto decidere cose giuste. Ieri, per esempio, gli artigiani hanno fatto bene ad applaudire le misure specifiche (tutte sacrosante) che si vogliono prendere in materia di mercato del lavoro, elencate con precisione e competenza dal ministro del Welfare, ma molto meno si è capita la logica del “fiancheggiamento politico” che si voluto assicurare “comunque” a questo Governo. Atteggiamento che hanno messo in mostra persino i cosiddetti “poteri forti”, che forti non sono più da tempo e forse nemmeno poteri, ma che comunque hanno sempre voluto comportarsi da “contropoteri”. Insomma, se io fossi nei panni dei protagonisti e dei rappresentanti del capitalismo nostrano, userei qualche prudenza in più. Si dirà: fatti loro. Vero, anche se i fatti loro sono sempre e comunque anche fatti nostri. Ma è anche in nome dell’interesse generale che sarebbe opportuna una maggiore dialettica. Perchè nella nebbia che questa bolla psicologica sprigiona si nascondono, e bene, anche gli interessi particolari che in nome di quello generale andrebbero ridimensionati, se non addirittura estinti.
Il consenso, si sa, è una brutta bestia, e troppo rischia di produrre danni analoghi al troppo poco. Dire di sì a tutti, ripetere a ciascun settore dell’economia “il vostro programma è il mio programma”, come ama fare il Cavaliere, alla lunga diventa un cappio al collo proprio di quel “decisionismo” in nome del quale si è raccolto il consenso. Aspettare, per credere.
E questi sono solo i momenti più espliciti di una lunga serie di ammiccamenti – dalla disponibilità ad aprire il portafoglio per salvare l’Alitalia mostrata al merchant banker di fiducia, Bruno Ermolli, al fermento delle lobby che si stanno organizzando intorno ai grandi temi del governo, infrastrutture e nucleare in testa – e di contatti riservati, tutti all’insegna del “fare”. Si tratta di un clima decisamente inedito, alimentato da una spasmodica attesa di “decisionismo”. Mercoledì ho partecipato all’assemblea annuale degli industriali di Piacenza, e nonostante non vi fosse alcun esponente di governo presente, l’aria che si respirava, alimentata dalla relazione del presidente Sergio Giglio, era proprio quella dell’attesa che “finalmente qualcosa si muova”.
Riducendo all’osso, nella testa degli imprenditori e degli uomini d’affari sembra prevalere questo ragionamento: abbiamo provato tanto il centro-destra quanto il centro-sinistra, ed entrambi hanno fallito; ora che tutti accettano l’idea che il declino c’è (ieri Sacconi ha usato l’espressione “siamo in piena emergenza economica e sociale”), e si è passati dalla fase del dibattito sul “se fare certe scelte” a quella “è venuto il momento di decidere”, affidiamoci al Cavaliere, che è “uomo del fare” e che nel suo partito e nella sua coalizione comanda senza dover cedere alle mediazioni. Dunque, viva Berlusconi, siamo in fiduciosa attesa.
Questa situazione ha un evidente e già percepibile vantaggio: il ridimensionamento del conflitto. Meno conflitto politico, come dimostra l’atteggiamento da “ombra del governo” dell’opposizione. Meno conflitto sociale, giacché l’umore degli imprenditori coincide con quello del ceto medio produttivo, che chiede “semplificazione, semplificazione, semplificazione” anche a costo di cadere nel semplicismo. E meno conflitto nel mondo del lavoro, visto che anche il sindacato appare “normalizzato”, probabilmente suo malgrado. E in una società altamente conflittuale come la nostra, non si tratta di cosa da poco. Ma è pure una situazione che presenta controindicazioni e pericoli, sia per gli interessi che per il Paese. Per i primi, il problema è di non passare da un’esagerazione ad un’altra. Fino a ieri, la (giusta) critica ai difetti del sistema-Italia faceva pensare che quel (poco) che resta delle elite del nostro capitalismo volesse surrogare la politica, rischiando di commettere lo stesso errore fatto all’inizio degli anni Novanta, quando dalla Fiat di Cesare Romiti partì l’attacco ai “politicanti” della Prima Repubblica che poi sfociò nell’operazione Mani Pulite.
Ora sembra esserci l’atteggiamento opposto – ma qui non denuncio una tendenza certa, indico un pericolo – cioè una delega in bianco che non solo non trova giustificazione nelle probabilità di vittoria della scommessa, ma che non è neppure utile ai fini del buon esito della stessa, laddove così facendo si rischia di alimentare la già naturale tendenza alla “politica degli annunci”, che rappresenta l’esatto contrario di quello che occorre se si vuole non solo decidere, ma soprattutto decidere cose giuste. Ieri, per esempio, gli artigiani hanno fatto bene ad applaudire le misure specifiche (tutte sacrosante) che si vogliono prendere in materia di mercato del lavoro, elencate con precisione e competenza dal ministro del Welfare, ma molto meno si è capita la logica del “fiancheggiamento politico” che si voluto assicurare “comunque” a questo Governo. Atteggiamento che hanno messo in mostra persino i cosiddetti “poteri forti”, che forti non sono più da tempo e forse nemmeno poteri, ma che comunque hanno sempre voluto comportarsi da “contropoteri”. Insomma, se io fossi nei panni dei protagonisti e dei rappresentanti del capitalismo nostrano, userei qualche prudenza in più. Si dirà: fatti loro. Vero, anche se i fatti loro sono sempre e comunque anche fatti nostri. Ma è anche in nome dell’interesse generale che sarebbe opportuna una maggiore dialettica. Perchè nella nebbia che questa bolla psicologica sprigiona si nascondono, e bene, anche gli interessi particolari che in nome di quello generale andrebbero ridimensionati, se non addirittura estinti.
Il consenso, si sa, è una brutta bestia, e troppo rischia di produrre danni analoghi al troppo poco. Dire di sì a tutti, ripetere a ciascun settore dell’economia “il vostro programma è il mio programma”, come ama fare il Cavaliere, alla lunga diventa un cappio al collo proprio di quel “decisionismo” in nome del quale si è raccolto il consenso. Aspettare, per credere.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.