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Lo scandalo “democratico” del governatore della Puglia

Benvenuto a Vendola nel teatro italiano

Tra elezioni primarie e candidature imposte

di Elio Di Caprio - 26 gennaio 2010

Le elezioni primarie per le scelta delle candidature elettorali o di partito, da Prodi a Veltroni, ora a Niki Vendola in Puglia non le sappiamo proprio fare e se le portiamo a compimento succede di tutto, diventano un armistizio obbligato che allinea il consenso sul candidato vincente, ma lascia aperti dissidi e contraddizioni a futura memoria. Il contrario della disciplina convinta che dovrebbe conseguire a scelte operate dalla base che finalmente partecipa oltre e al di là delle nomenklature di partito imposte dai vertici.

Può darsi che la candidatura di Vendola a governatore della Puglia sia e diventi qualcosa di diverso, che si inserisca più che altro nel filone d’insofferenza populista, questa volta da sinistra, verso i suoi stessi maggiori esponenti di cui viene minata la credibilità per i tanti errori commessi in passato. Di Pietro ne sarà sicuramente contento. Ma non c’è chi no veda come la pratica (e talvolta la retorica) delle primarie si scontri con la legge elettorale vigente che è tutto il contrario, avendoci regalato a livello nazionale una classe parlamentare nominata e imposta dalle segreterie di partito.

E’ una delle tante contraddizioni che ci portiamo dietro assieme alle tante altre come quella principale, sul punto di esplodere da un momento all’altro, tra Costituzione formale basata sui principii del parlamentarismo classico- o fin troppo classico- e Costituzione materiale che di fatto ha alterato il vecchio equilibrio dei poteri e si basa sul consenso plebiscitario conferito al leader indicato sulla scheda elettorale, ieri Prodi e oggi Berlusconi.

La commedia italiana si sa trasformando in un teatro infinito tra spinte di base e spinte di vertice. Di tanto in tanto si lanciano all’opinione pubblica sempre più perplessa le briciole di riforme annunciate e mai attuate- da quella federalista a quella sulla riduzione dei parlamentari- quale diversivo per rassicurare tutti che il problema è presente, le classi dirigenti se ne fanno carico, ma poi non è colpa loro se non si riesce a mettersi d’accordo sulle regole che, come sempre succede, si teme possano far prevalere una parte sull’altra per gli anni a venire.

Gian Enrico Rusconi ha usato nei giorni scorsi una metafora accattivante, quella dell’opera teatrale che risale alla tradizione melodica italiana, per spiegare la situazione in cui ci troviamo: sulla scena si svolge la trama in senso stretto con governo, partiti, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale. Poi c’è la sala del pubblico che talvolta fischia, talvolta applaude identificandosi con gli attori di scena oppure guarda tra l’indifferente, il perplesso e il distante. Nel mezzo tra la scena e il pubblico c’è la fossa dell’orchestra mediatica che accompagna ed amplifica la voce dei protagonisti, ma non dà voce al pubblico. La politica italiana diventa uno straordinario spettacolo interattivo mal riuscito, secondo Rusconi, quale strumento illusorio di democrazia diretta. Poi ci sono gli intervalli delle primarie, per ora appannaggio della sola sinistra, a cui la “destra” ha opposto gli intervalli dei gazebo in piazza. Tutto vero, ma all’analisi manca qualcosa.

Quello che Rusconi trascura è che tra la scena e il pubblico non c’è più solo la fossa dell’orchestra mediatica, c’è anche la “fossa” interattiva del potere giudiziario che muove autonomamente i suoi fili, ha un’enorme influenza sui protagonisti della scena- basterebbe pensare ai recenti avvisi di garanzia allo stesso Vendola- ne asseconda o contrasta le decisioni, partecipa al gioco in prima persona, può avere l’ultima parola sulla libertà dei singoli individui.

Siamo ben oltre il circo (lo) mediatico-giudiziario che, secondo Craxi, avrebbe contribuito fattivamente ad affossare la Prima Repubblica. Nella seconda c’è posto per tutti, basta rientrare negli interessi e nelle grazie dei capi. Non sono state certo le elezioni primarie ad aver rinfoltito i ranghi di (ex) magistrati presenti in Parlamento a destra come a sinistra, quasi tutti titolari di importanti cariche. Anch’essi sono stati nominati dai partiti, accanto agli avvocati ed ai factotum del “principe” Berlusconi, accanto a ex veline e ad ex giornalisti: tutti mobilitati per sostenere le fazioni in lotta.

E’ uno strano (e straordinario) ricambio della classe politica quello che è avvenuto negli ultimi anni sotto i nostri occhi, un cambio che ha ridimensionato sì i professionisti della politica – sono sopravissute solo le sparute nomenklature ex comuniste ed ex missine - secondo gli auspici dello stesso Cavaliere. Ma sono state privilegiate altre nomenklature imposte che vanno dai funzionari di Publitalia, ai magistrati, ai ceti emergenti dello spettacolo. E’ rimasta la sola Lega ad esprimere una rappresentanza diretta degli interessi locali senza bisogno di elezioni primarie o di gazebo per scegliere le proprie candidature.

Come non pagare il costo di tante confusioni e contraddizioni che tuttora minano un “normale” ricambio delle classi dirigenti che dovrebbe seguire ben altre vie? Certo non basta lo “scandalo” democratico di Niki Vendola, imposto dalla base ai vertici del suo partito a cambiare le cose, come non si può trasporre a livello nazionale la logica localistica della Lega. Ma qualcosa in più si può fare: basterebbe ridurre subito il numero dei parlamentari nominati. Se non altro ci sarebbe meno spazio nelle liste per ex magistrati, avvocati e giornalisti, più lotta interna per farsi candidare o, meglio ancora, le elezioni primarie diventerebbero un vincolo ineludibile per scelte ristrette che abbiano un minimo di rispondenza con la volontà dell’elettorato. Forse ne verrebbe fuori pur sempre un teatro all’italiana, ma almeno più credibile di quello attuale che non rispetta neppure le parti in commedia.

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