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Giù le mani da Mario Draghi

Bce

Un eccesso di miopia non può essere tollerato in un momento così difficile

di Enrico Cisnetto - 13 aprile 2012

Giù le mani da Mario Draghi. È vero, i mille miliardi che la Bce ha messo nel sistema per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani europei hanno avuto un effetto solo sintomatico, passato il quale gli spread sono tornati a salire segnalando il ritorno dell’evidenza del male. Ma di qui a dire che quella strada non andava imboccata, o sostenere che bisogna bloccare il rifinanziamento delle banche dell’eurozona, ce ne corre. Prima di tutto perché Draghi non ha mai detto che il suo intervento avrebbe risolto alla radice il problema, ma ha sempre fatto intendere che era quanto la Bce poteva fare – anche andando al di là del suo perimetro statutario – in assenza di decisioni dei governi, sia sul fronte delle politiche interne sia soprattutto in materia comunitaria. E poi perché in assenza di quella mossa, avremmo assistito già da tempo alla caduta verticale dell’eurosistema e al fallimento di mezzo sistema bancario continentale. Adesso che i tedeschi, dopo essersi assunti la responsabilità di imporre all’Europa una linea rigorista fine a se stessa nonostante la sopravanzante recessione, alzino il tiro sulla Bce, beh è davvero troppo. A che titolo ha parlato il membro tedesco del board di Francoforte, Joerg Asmussen, annunciando che le misure creditizie straordinarie decise dall"Eurotower non si ripeteranno? In quanto ex segretario alle Finanze del governo Merkel? Certo, è di buonsenso affermare che essendo straordinarie quelle misure devono essere limitate nel tempo e che nessuno debba sentirsi garantito che altre ne seguiranno, ma non lo è affatto dichiarare che sicuramente non se ne faranno più. E i capo-economisti di tre grandi istituti di credito tedeschi – Deutsche Bank, Commerzbank e Dekabank – avevano bevuto quando hanno “sparato” sull’Handelsblatt l’opinione secondo la quale le recenti iniezioni di liquidità da parte della Bce produrranno nell’eurozona, tra meno di due anni, un aumento medio dell’inflazione del 3-4%? Ma come, l’euro rischia di saltare e un gruppo di paesi di finire falliti come la Grecia, e lorsignori si preoccupano che fra un paio d’anni ci sia una (peraltro piccola) fiammata inflazionistica? Joerg Kramer di Commerzbank scherza o fa sul serio quando ci racconta che coltiva il timore che nei prossimi dieci anni la Bce non sia in grado di tenere il mostro inflattivo sotto il 2%? E allora, cosa si vorrebbe, mandare a casa Draghi perché non si preoccupa a sufficienza dell’unico problema che l’Europa non ha, quello dell’inflazione? E per quale motivo Thomas Mayer di Deutsche Bank sente proprio adesso la necessità di bollare la politica monetaria della Bce come “straordinariamente inflazionistica”? Ed è casuale che Ulrich Kater (Dekabank) solleciti Francoforte a fare la sentinella della stabilità dei prezzi sottolineando perchè “non abbiamo lo strumento della svalutazione della moneta”, proprio quando c’è chi, come Roubini, suggerisce una svalutazione del 30%, una riduzione del costo del denaro a livelli americani e l’utilizzo di tutti gli strumenti per aumentare la liquidità? Viene da pensare, visto anche che i tre hanno esternato congiuntamente e che è da escludere abbiano parlato senza il beneplacito dei loro capi, che qualche potere forte tedesco voglia davvero far saltare il banco della moneta unica.

Già, il timore è che l’obiettivo non sia Draghi e la Bce, bensì l’euro. Ma se il mondo finanziario tedesco è così miope, cosa ne pensano la signora Merkel, gli industriali che votano Cdu-Csu e quel grigio Sigmar Gabriel che ha ereditato da Schröder la leadership dell’Spd? Dobbiamo forse attendere che sia il lievitante “partito dei pirati”, versione più simpatica del nostro “grillismo”, a spiegare ai cittadini tedeschi che la fine dell’euro sarebbe una fregatura anche per loro? E chi glielo dice ai tedeschi che se si ferma, o anche solo rallenta in modo significativo, la domanda dei paesi emergenti proprio mentre la nuova parola d’ordine americana è “insourcing” (come Marchionne sa bene), parte un processo di neo-ristrutturazione del manifatturiero mondiale da cui la Germania (da sola) ha tutto da perdere e niente da guadagnare? Molti tra quelli che in Europa hanno a cuore presente e futuro dell’euro pensano che per convincere Berlino a fare scelte lungimiranti sarebbe meglio che in Francia vincesse Sarkozy, così la Merkel avrebbe un amico a spalleggiarla in vista delle elezioni tedesche. Ma per fare cosa? Se la linea è quella dei banchieri e della Bundesbank, allora è meglio che prevalga Hollande e che si costituisca un fronte “anti”. In realtà, c’è solo una scelta che consentirebbe alla Merkel di superare il problema del consenso dei suoi concittadini, e quindi di avviare quelle politiche di integrazione istituzionale che sono le uniche che potrebbero salvare l’eurosistema: la “grande coalizione”. Speriamo che i socialdemocratici e i democristiani tedeschi vadano a lezione da due padri della patria come Schmidt e Kohl: ultimamente i due Helmut, ormai ultra-ottantenni, hanno usato parole di fuoco con i loro discepoli, sarà bene ascoltarli.

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