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Gli istituti e il panico diffuso nei mercati

Banche e subprime, ora chiarezza

L'intervento della Fed salva le Borse. Ma urge una riflessione sulla paura diffusa

di Enrico Cisnetto - 23 gennaio 2008

Per fortuna che c’è la Fed. Se la banca centrale americana non avesse disposto un inaspettato (per i tempi) quanto aggressivo (per l’entità) taglio dei tassi – i cui effetti, soprattutto psicologici, sono stati moltiplicati dalla decisione di Bush di aumentare la dotazione del pacchetto di aiuti fiscali già annunciati senza troppa fortuna qualche giorno fa – sicuramente ieri, dopo il lunedì nero avremmo avuto anche il martedì nero delle Borse. La scelta di Bernanke, invece, ha limitato i danni – anzi, Milano ha chiuso con un +1% e così i mercati europei – dopo una mattinata funestata dalle chiusure in forte perdita dei listini asiatici. E anche se questo intervento non si rivelerà decisivo, non si può che ammirare la velocità decisionale della Federal Reserve, soprattutto se confrontata con la “sacrale lentezza” che regna al di qua dell’Atlantico.

Ma, archiviata la cronaca da cardiopalma della giornata di ieri, vediamo di capirci qualcosa di più. Primo: il panic selling è divampato come un incendio in una falegnameria perchè tutti sono convinti che ci sarà la recessione. Secondo: non è vero che ci sarà una recessione mondiale, l’Asia è ormai locomotiva capace di trascinare l’economia globale (già oggi assicura il 65% della crescita del pil planetario). Terzo: è dubbio che la recessione ci sarà negli Usa, ma se anche fosse, essa sarà di portata limitata (per intensità e durata) e comunque tale da non compromettere né la solidità dell’economia americana né di quella mondiale. Quarto: dunque, non è la possibile recessione a giustificare il crollo delle Borse, ma se mai è quest’ultimo che a lungo andare – cioè se non si interviene, come si è fatto ieri – può provocare la recessione. Quinto: l’origine della crisi, invece, è di natura finanziaria, e trae spunto dalla diffusa “sensazione” che, lungi dall’essersi depurati dalle perdite derivate dai mutui subprime, banche, assicurazioni e grandi gestori del risparmio abbiano ancora nei propri bilanci una quota corposa di potenziali perdite – generate da veicoli finanziari fuori bilancio e conduits esposti ad alto rischio di liquidità, vista la loro propensione a indebitarsi a breve per scommettere sul lungo termine – che però non hanno ancora avuto il “coraggio” di comunicare ai mercati. E quindi, delle due l’una: o questi “rumors” sono destituiti di fondamento, e dunque siamo di fronte a un’allucinazione collettiva che spinge gli operatori a drammatizzare una situazione negativa sì, ma non catastrofica, e allora questa crisi non è giustificata, se non marginalmente, dalla realtà dei fatti; oppure, ed è l’ipotesi peggiore, quello che il mercato “sente” è vero, i bilanci delle banche sono effettivamente un colabrodo ad onta di quanto dichiarato finora, e allora saremmo di fronte a comportamenti così criminali che giustificherebbero, per la dimensione delle perdite e l’immoralità dei mercati, ben altri crolli dei listini di quelli che si sono verificati dall’agosto scorso, quando è scoppiata la bolla dei mutui subprime e con essa dei derivati, fin qui. Perchè, parliamoci chiaro, se davvero si fosse nascosta molta polvere sotto il tappeto, sarebbe incredibile e drammatico dover prendere atto che nessun sistema di regole e nessuna autorità di controllo siano riusciti a far emergere quello che oggi tutti temono (salvo poi giustificare il loro pessimismo con la paura della recessione).

Quale che sia la risposta giusta a questo dilemma, in ogni caso rimane il fatto che una situazione di opacità come quella a cui abbiamo assistito fin qui nuoce a tutti: ai banchieri, perché finiscono in massa – nessuno escluso – sul banco degli accusati; alle Borse, perché quello che è accaduto in questi giorni potrebbe succedere di nuovo e a intervalli sempre più frequenti, senza che però ci sia più la possibilità da parte della Fed di “buttare soldi dall’elicottero” (espressione di Bernanke) per togliere le castagne dal fuoco ai mercati; ai risparmiatori, perché le scelte più sbagliate per il proprio portafoglio, notoriamente, sono quelle che si fanno quando si è sotto pressione.

L’unico vero antidoto, allora, è che sia fatta chiarezza. Una volta per tutte, senza reticenza alcuna. Come? Per esempio, le autorità di vigilanza nazionali e internazionali pretendano che i loro vigilati si assumano la responsabilità di rilasciare una dichiarazione giurata in cui si dica se ci siano o meno perdite straordinarie non ancora rese pubbliche. Se poi questa polvere sotto il tappeto è poca o non c’è per niente – come sono personalmente convinto che sia – avremo tolto di mezzo ogni motivo (o alibi) di una crisi assurda, mentre se il tappeto ne è pieno, almeno avremo la possibilità di prendere provvedimenti e ucciso quel terribile mostro che è l’incertezza. E’ allo stesso modo importante che finisca la “crisi di trasparenza” come quella di liquidità. Perché una cura shock è sempre meglio di nessuna cura.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.