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Vigilanza contraddittoria

Banche e Bankitalia

Le operazioni di pulizia di bilancio richiesti da Via Nazionale rischiano di essere, al di là delle intenzioni, un volano di nuova recessione

di Enrico Cisnetto - 15 marzo 2013

Attenzione a non buttare via il bambino con l’acqua sporca. In una fase congiunturale che non esito a definire drammatica, la richiesta – più che legittima, sia chiaro – che la Banca d’Italia sta facendo al sistema bancario di fare pulizia di bilancio, in modo che riflettano l’effettiva qualità degli attivi, attraverso la svalutazione dei crediti deteriorati, rischia di essere, al di là delle intenzioni, un volano di nuova recessione. Sia chiaro, i vertici di via Nazionale fanno bene a difendere i sani principi di prudenza nella valutazione dei crediti delle banche, ma dire – come hanno scritto a tutti i banchieri italiani – che il valore degli attivi deve “adeguarsi al contesto economico attuale e futuro a causa della recessione che si prolunga e all’incertezza sulle prospettive di ripresa della domanda interna”, finisce per diventare un ossimoro. Proprio perché, se le banche facessero oggi, in blocco, quella ventina di miliardi di rettifiche (c’è chi dice 18 e chi 21 miliardi) che le ispezioni già realizzate e in corso in questo momento avrebbero fatto e farebbero emergere, quelle stesse prospettive di ripresa indicate come causa della necessità di intervenire finirebbero per allontanarsi ulteriormente nel tempo, alimentando così una spirale recessiva perversa. Non solo.

Passare a perdita tutti e tutti insieme i diversi tipi di crediti deteriorati – che non sono tutti uguali, ed è sbagliato fare di ogni erba un fascio – obbligando gli istituti a aumentare gli accantonamenti e a svalutare gli immobili, significa non solo erodere completamente i loro già ristretti margini di profitto ma costringerli ad uscire con perdite rilevanti, fronteggiabili solo o con cessioni straordinarie o con aumenti di capitale. Due cose facili da pretendere ma difficili, per non dire impossibili, da realizzare concretamente: nell’un caso, perché non ci sono compratori, e quando si trovano pretendono che i prezzi siano di saldo o peggio, mentre nell’altro caso i mercati sono poco o per nulla disposti a spendere per sottoscrivere azioni che negli ultimi tempi sono crollate in Borsa. Inoltre, alcune banche avevano appena realizzato ricapitalizzazioni, e ripetersi sarebbe difficile. In altri casi, poi, si era cambiato il management apicale e dato vita a piani di risanamento decisi ma graduali: chiedere tutto e subito non può che mettere in difficoltà quei manager – in alcuni casi sottoposti alla cecchinatura (dall’esterno) da parte di coloro che hanno sostituito – e far saltare quelle road map.

Ad aggravare questo quadro ci sono tre fattori di cui occorre tener conto. Il primo è adesso nel mirino ci sono soprattutto le banche di territorio, che sono quelle che più hanno evitato il credit crunch nella fase iniziale della crisi e che se ora vengono meno nella disponibilità di finanziare le imprese – come è inevitabile che sia se sono costrette a questo esercizio di super-pulizia che Bankitalia pretende – producono un danno sistemico di proporzioni inimmaginabili. Non è un caso che, secondo le prime indiscrezioni, dalle banche maggiori ci si aspettano risultati di bilancio sopra la sufficienza, mentre si pensa che da quelle medie e piccole, salvo eccezioni, arriverà una pioggia perdite. La seconda questione su cui i vertici di via Nazionale debbono prestare particolare attenzione è la dinamica del rapporto vigilanti-vigilati. Personalmente ho raccolto molte confidenze (sfoghi) di banchieri che si sono sentiti “condannati” a priori da ispettori che hanno giudicato “prevenuti”. Ora, un conto è chiedere a costoro di rinunciare a bonus e benefit vari, che tra l’altro in taluni casi sono obiettivamente fuori misura, e un altro agire come se tutti i crediti deteriorati fossero uguali e tutti ugualmente riconducibili all’incapacità o, peggio, alla cattiva fede di chi ha erogato i prestiti. Anche perché la reazione di questi ultimi sarà inevitabilmente quella di chiudere i rubinetti del credito con una modalità altrettanto “lineare”.

Infine, la terza questione su cui occorre riflettere è il messaggio pubblico che rischia di passare: i banchieri sono tutti o stolti o ladri. Già il sistema bancario ha colpe sulla coscienza che hanno generato un’immagine pessima di sé presso la clientela e l’opinione pubblica – anche ben oltre il meritato – ma se si accredita un’idea così totalizzante anche da parte dell’istituto di vigilanza, può darsi che quest’ultimo se ne avvantaggi (momentaneamente) ma certo non fa bene al sistema bancario nel suo complesso e, di riflesso, neppure a quello economico tout court. L’Italia è già fin troppo stretta nella morsa del populismo per aggiungercene un altro. Ma gli eccellenti uomini che oggi non meno del passato siedono al vertice di Bankitalia, sono sicuro che sapranno trovare il giusto equilibrio tra esigenze solo apparentemente opposte.

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