Azionisti di maggioranza del governo
Gli alleati piccoli pestano i piedi per frenare ottenere di tutto. Loro stanno a guardaredi Enrico Cisnetto - 08 settembre 2006
Cosa aspettano, dunque, Rutelli e Fassino – tanto più visto che evocano un partito che dovrebbe accomunarli – a battere i pugni sul tavolo, facendo pesare il loro essere maggioranza? Non si facciano ingannare dal luccichio della congiuntura, pensando che in fondo l’obiettivo del rientro del deficit-pil sotto il tetto europeo del 3% possa essere raggiunto anche con molto meno di quanto preventivato. Primo perché non è affatto detto che sia così, e le tante manovre correttive di primavera degli anni scorsi stanno a testimoniarlo. Secondo perché, anche se fosse, i problemi si ripresenterebbero aggravati l’anno prossimo, quando tra l’altro tutti prevedono un peggioramento della nostra crescita. Terzo perché il barometro della congiuntura mondiale segnala tre grossi problemi: il rallentamento degli Usa, con una possibile ulteriore svalutazione del dollaro (e non sarà certo l’Europa, appena uscita da una lunga malattia ma ancora in convalescenza, a fare da locomotiva mondiale: il Prodi presidente della Commissione Ue l’aveva pronosticato nel 2001 e sappiamo come è andata); la certezza che il prezzo del petrolio si manterrà sopra i 70 dollari al barile, con la probabilità che i rischi di degenerazione del conflitto mediorientale lo spingano verso i 90-100; l’altrettanto sicuro aumento dei tassi d’interesse. Quarto perché a ben vedere i dati italiani non sono per nulla rassicuranti, per quanto migliorati: amesso (e non concesso) che a fine anno si arrivi al +1,8% di crescita generosamente previsto dall’Ocse (Bruxelles dice 1,7%, la Confindustria si ferma all’1,5%), il nostro Paese si troverebbe comunque ad aumentare il suo distacco da Eurolandia di un ulteriore terzo (1,8% contro 2,7%, che diventa 2,8% se dal conteggio si esclude l’Italia) e dai paesi del G7 del 40% (1,8% contro 3%, che diventa 3,2% senza l’Italia). Francia e Germania, pur sotto la media Ue, sarebbero comunque più avanti di noi, rispettivamente al 2,2% (-19%) e al 2,4% (-25%) di aumento del pil, mentre gli Stati Uniti, crescendo al 3,6%, manterrebbero un passo doppio rispetto al nostro. E siccome il problema italiano è soprattutto quello della competitività mondiale, cioè delle quote (decrescenti) di mercato globale che riusciamo a conquistare, è del tutto evidente che in questo momento stiamo consumando “ottimismo virtuale”. Proprio ieri, nel rapporto sul Fare Impresa (Doing Business) della Banca Mondiale, che misura dieci categorie di indicatori sulla facilità nello svolgere attività di impresa, l’Italia è scivolata dal 69esimo posto dello scorso anno all’82esimo, lontanissima dagli altri paesi più industrializzati (tutti nei primi 20).
Dunque, delle due l’una: o i riformisti sono in grado di imporre a governo e maggioranza le riforme strutturali evocate nel Dpef su sanità, pensioni, pubblica amministrazione ed enti locali – che hanno solo come conseguenza e non come obiettivo il risanamento della finanza pubblica – oppure prendano atto subito che per governare il Paese occorre passare attraverso un’esprienza di Grande Coalizione alla tedesca. La quale, proprio in queste ore, sta producendo scelte di politica economica – di cui il liberista Sole 24 Ore si è finalmente accorto – all’insegna sia del rigore, tanto che il disavanzo scenderà al 2,8% già quest’anno e al 2,5% nel 2007 perché le entrate extra saranno utilizzate per ridurre il deficit, sia dello sviluppo, creato continuando la linea del governo Schroeder di delocalizzazione ad Est delle produzioni povere e potenziamento dei grandi gruppi a forte contenuto di innovazione tecnologica. Francesco e Piero, se ci siete battete un colpo.
Pubblicato sul Foglio dell’8 settembre 2006
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Società Aperta è un movimento d’opinione, nato dall’iniziativa di un gruppo di cittadini, provenienti da esperienze professionali e politiche differenti, animati dalla comune preoccupazione per il progressivo declino dell’Italia, già dal lontano 2003, quando il declino dell’economia, almeno a noi, già era evidente come realtà acquisita. L’intento iniziale era evitare che il declino diventasse strutturale, trasformandosi in decadenza. Oltre a diverse soluzioni economiche, Società Aperta, fin dalla sua costituzione, è stata convinta che l’unico modo per fermare il declino sarebbe stato cominciare a ragionare, senza pregiudizi e logiche di appartenenza, sulle cause profonde della crisi economica italiana e sulle possibili vie d’uscita. Non soluzioni di destra o di sinistra, ma semplici soluzioni. Invece, il nostro Paese è rimasto politicamente paralizzato su un bipolarismo armato e pregiudizievole, che ha contribuito alla paralisi totale del sistema. Fin dal 2003 aspiravamo il superamento della fallimentare Seconda Repubblica, per approdare alla Terza, le cui regole vanno scritte aggiornando i contenuti della Carta Costituzionale e riformulando un patto sociale che reimmagini, modernizzandola, la costituzione materiale del Paese. Questo quotidiano online nasce come spin-off di Società Aperta, con lo scopo di raccogliere riflessioni, analisi e commenti propedeutici al salto di qualità necessario