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Un progetto per affrontare la ripresa

Avviamo una fase di politica nuova

Serve un nuovo governo per evitare il contagio

di Enrico Cisnetto - 10 maggio 2010

Decidiamoci. O si va subito ad una verifica se ci sono le condizioni per sciogliere le Camere ed anticipare le elezioni, partendo dal presupposto che questa maggioranza pur essendo più che larga in Parlamento non regge alle spinte centrifughe che vengono dal dissenso interno al Pdl, dal coinvolgimento di molti suoi esponenti in inchieste giudiziarie e dai problemi di equilibrio politico tra Pdl e Lega. Oppure si chiuda la stagione dei veleni e si apra una fase politica nuova in nome dell’emergenza che, nostro malgrado, ci troviamo a dover affrontare per effetto della crisi finanziaria che si è aperta con il “caso Grecia”, e che se anche non dovesse coinvolgere l’Italia direttamente – facciamo gli scongiuri – già lo ha fatto in quanto paese partecipante al club dell’euro. Tertium non datur. In particolare, è “non datur” che tutto resti così com’è per un mortificante effetto di trascinamento per mancanza di alternative: non solo perché per il Paese sarebbe una tragedia – vi immaginate tre anni, ma anche solo un anno, di legislatura esclusivamente sotto il segno del “tutti contro tutti” come è stato nei primo biennio e come sempre più continua ad essere, anche ora che sono passati 40 giorni dalle elezioni regionali? – ma anche perché il succedere degli avvenimenti porterebbe comunque il governo a cadere, prima o poi.

Sappiamo che delle due ipotesi, Berlusconi considera solo la prima. E’ dall’anno scorso che pensa di risolvere il logoramento cui lui personalmente e il suo governo sono sottoposti attraverso le elezioni anticipate. Ci ha provato in autunno, ma ha dovuto desistere. Ora le ha di nuovo evocate, e ancor più fatte evocare dai suoi, seppure – sembrerebbe – con molta meno convinzione.

Probabilmente qualcuno gli ha spiegato che Napolitano non scioglierebbe mai le Camere senza aver verificato l’esistenza di alternative, e che tanti parlamentari del Pdl sono pronti a passare armi e bagagli con Fini e con l’Udc se intorno a questi due soggetti si raggruppassero le forze moderate contrarie alle elezioni. E per il Cavaliere andare alla conta e perdere sarebbe la fine. Dunque, prima di tentare questa strada fino in fondo ci penserà bene. Diciamo che è ragionevole pensare che solo una clamorosa sottovalutazione del partito anti-elezioni, magari per colpa di qualche consigliere stolto, o una sua condizione di disperazione politica, potrebbero indurlo al grande passo. Nell’incertezza, c’è solo da auspicare che decida al più presto: ora o mai più.

In caso di scelta negativa, non rimarrebbe che lo spariglio come unica alternativa all’agonia. Un governo di larga coalizione, in nome dell’emergenza finanziaria, o meglio delle scelte forti che dovrebbero essere fatte per evitare che il contagio del virus greco ci appesti. Si badi bene, non un governo tecnico – anche se molti tecnici dovranno farne parte – ma una coalizione di soggetti politici consapevoli che occorre unire le forze per fare quelle riforme strutturali che né centro-destra né centro-sinistra sono fin qui stati capaci di realizzare.

Un’opzione che non credo rientri tra quelle immaginabili da Berlusconi, e che se anche lo fosse verrebbe snaturata da una concezione tutta mercantile della politica. Dunque, se non può essere il premier a farsi promotore di un’iniziativa in questa direzione, occorrono altri facitori. Chi? Ovviamente chi parte per primo, la strada è sgombra. Ma volendo incitare i potenziali promotori, azzardo qualche nome e un percorso da seguire.

L’iniziativa potrebbe e dovrebbe prenderla l’Udc. Casini, nella misura in cui lavora a costruire un partito nuovo per la Terza Repubblica, deve però giocare una partita attiva nell’attuale scenario politico. Di fronte ad una situazione che richiede grandi e gravi decisioni – un intervento coraggioso su pensioni e sanità, la semplificazione delle amministrazioni pubbliche, in particolare quelle del decentramento, una riduzione una-tantum del debito pubblico, una riforma radicale della giustizia – l’Udc mostrerebbe di avere senso dello Stato e fiuto politico se decidesse di abbandonare i banchi dell’opposizione. Non per entrare in questo governo, ma per allargare la maggioranza. Allargarla non tanto in termini di numeri – che non ne ha bisogno – quanto in termini qualitativi e di agenda politica.

Fino a modificarne il dna. Per farlo dovrebbe porre condizioni, aprire tavoli di negoziato. Interlocutori? Tremonti, in primis. E poi Fini, D’Alema, Maroni e chi tra i berluscones se la sente di fare da pontiere con il Cavaliere. E fuori dal mondo politico in senso stretto? Draghi, qualche esponente di Confindustria non necessariamente del presente o del passato prossimo, personalità di cerniera come Ferrara e Mieli. Sono solo esempi, naturalmente, quello che conta è il metodo. Vogliamo provarci? Vuoi vedere che laddove non sono riusciti altri in altre circostanze, riescano Moody’s e le altre agenzie di rating a creare le condizioni per scrivere la parola fine in calce a questo strazio di Seconda Repubblica?

Pubblicato da Liberal

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