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Lusi ? Uno dei tanti “Madoff” della nostra crisi istituzionale

Avanti un altro

Quando il degrado si allarga a macchia d’olio

di Elio Di Caprio - 08 febbraio 2012

Scandalo su scandalo, chi ci bada più? Salgono alla ribalta mediatica personaggi pressocchè sconosciuti o mai visti, l’ultimo il tesoriere dell’ex Margherita, il senatore Lusi, eletto nelle liste del PD – uno dei tanti speculatori alla “Madoff” emersi dalla nostra crisi istituzionale, ma chissà quanti altri ce ne sono - tutti imputati di inconfessabili malversazioni. Ma chi li ha eletti senza conoscerli? Noi stessi. Ci possiamo prendere responsabilità non nostre per un parlamento di nominati, l’ultima espressione della partitocrazia trionfante? Come non sospettare altri imbrogli o ladrocini o allegri sperperi di denaro pubblico che non vengono (ancora) rivelati ma spiegano una sostanziale omertà dei partiti tutti più o meno coinvolti nel malaffare? E poi dicono che non sono una casta…

E’ questo il quadro desolante che segnala una continuità allarmante tra Prima e Seconda Repubblica : i partiti sono cambiati di nome, si è fatto posto ad altri commensali, prima digiuni, al banchetto della politica, si è arrivati persino a finanziare partiti già morti e scomparsi dalla circolazione per poi ritrovarsi con i medesimi risultati di degrado complessivo. Il “porcellum” di Calderoli che ci ha fatto anche questo regalo della nomina del sig. Lusi a parlamentare della Repubblica è il capolavoro elettorale di quella Lega che da tanti anni si è auto appiccicata una vernice di contestazione antistatale e antipartitica e poi non è stata neppure capace di chiedere che come condizione minima nelle liste elettorali non ci fossero candidati con precedenti penali. Dov’è il cancro? Nello strapotere dei partiti, non per caso sempre più sottostimati ( è un eufemismo) dall’opinione pubblica a tal punto che di converso viene riservata una crescente attenzione se non consenso al governo Monti purchè dimostri o segnali, anche nella maniera confusa dei suoi primi passi, l’inizio di un nuovo corso sottratto ai ricatti e agli interessi dei partiti. Ma Monti finirà e dopo? I tanti referendum falliti, o bocciati come l’ultimo sulla legge elettorale, o completamente stravolti e rovesciati come quello sul finanziamento pubblico ai partiti e quello sulla responsabilità civile dei giudici hanno ancor più lasciato spazio agli accordi di vertice, espressi o taciti, tra chi non accetta che estranei intervengano nell’orticello sapientemente coltivato dai privilegiati del potere. Neanche i referendum previsti dalla Costituzione riescono a fare breccia nel muro di gomma degli interessi precostituiti che prosperano all’ombra del potere partitocratico.

Non sappiamo se al governo Monti venga lasciata la chance di cambiare almeno qualcosa di un’Italia immobile e ingessata, ma già è un risultato che qualcuno dica di voler cambiare e si appresti a dimostrare che si può anche se è facile prevedere un effetto annuncio che sarà effimero per la gran parte delle riforme che si vorrebbero varare in pochi mesi. L’ipotesi presidenzialista di un sistema che non dipenda totalmente dai partiti come quello attuale ma che trovi fondamento nell’elezione diretta e popolare del capo di Stato o di governo resta un’opzione auspicabile e praticabile, esiste in altri Stati europei ed ha dato buona prova di sé, ma solo a condizione di una revisione globale dell’equilibrio dei poteri previsto in Costituzione. L’esperienza del berlusconismo ha purtroppo inficiato e reso meno attraente anche questa prospettiva : non può sfuggire a nessuno che se Silvio Berlusconi fosse stato eletto veramente a capo di una repubblica presidenziale, come Sarkozy in Francia, e non surrettiziamente come leader preferito indicato su una scheda elettorale secondo la prassi inaugurata nell’ultimo decennio, sarebbe stato realmente inamovibile e non avrebbe trovato alcun freno o limite di sistema. Rinunciare per questo ad ogni riforma possibile? Al punto in cui siamo si è costituito un giro vizioso di impotenza, rotto temporaneamente dalla decisione “autoritaria” di Giorgio Napolitano di imporre Mario Monti come capo del governo, ma l’impressione diffusa è che ulteriori strappi non ci tireranno fuori dal vicolo cieco della politica fino a quando non si individuerà un nuovo percorso costituente.

Ernesto Galli della Loggia, come su altri fronti Massimo Cacciari, ne è convinto da tempo e dagli editoriali del Corriere della Sera invita gli attuali partiti ad autoriformarsi ( ma ne saranno mai capaci?) sulla base dell’elementare interrogativo del perché il Paese Italia si è trovato con l’acqua alla gola e quando è stata necessaria un’azione politica urgente e incisiva si è dovuti ricorrere ad altri e non a loro, ai partiti. Ormai la stessa domanda se la fanno tutti e non si intravvede una via d’uscita a portata di mano, ma almeno si può essere d’accordo sulla constatazione di base che, come dice Della Loggia, il fallimento odierno dipende da “un sistema elettorale inadeguato e da una Costituzione inattuale” che insieme hanno portato al fallimento odierno. Certo tocca ai partiti trovare una via d’uscita, ma sembra oggettivamente improponibile che da questo penoso parlamento e da questi partiti venga fuori una soluzione di ricambio magari mettendo mano insieme la riforma elettorale ed una riforma sia pure parziale della Costituzione che preveda la riduzione dei parlamentari e nuovi compiti per un Senato riformato.

Se ne parla come a ogni fine legislatura, ma chi ne sarebbe all’altezza, con quale visione e in base a quali titoli ed esperienze? Vorrebbe dire comunque affidarsi e fidarsi di una classe politica di cui fanno parte “legislatori” del calibro di Lusi o Cosentino, o Papa, Milanese, Brancher, Romano, Tedesco, tanto per citarne alcuni. Dall’opera riformatrice non potrebbero essere esclusi neppure personaggi come Razzi e Scilipoti che siedono regolarmente nelle Camere elettive pervicacemente immobili di fronte allo sprezzante senso popolare del ridicolo che li circonda. Ma veramente li abbiamo eletti noi per fare le riforme?

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