Autogrill e Atlantia
Autostrade. Una filiera da difendere
La nuova authority dei traporti dovrà fare i conti con un sistema in affannodi Enrico Cisnetto - 05 agosto 2012
Non fatevi ingannare dal traffico agostano di queste ore. I dati semestrali di Atlantia e di Autogrill – entrambe società del gruppo Benetton – ci dicono come il traffico autostradale e i consumi ad esso collegati sono in netta contrazione, confermando che la recessione è nello stesso tempo causa e conseguenza di una mutazione dei comportamenti degli italiani che, in assenza di un’inversione di tendenza del clima economico che purtroppo non è all’orizzonte, potrebbe diventare strutturale. Cosa che non accade negli altri paesi. Nei primi sei mesi dell’anno, infatti, sulla rete di Autostrade per l’Italia la regressione di traffico è stata dell’8%, che scende al 6,5% se si calcola al netto delle situazioni meteo straordinarie e degli scioperi degli autostrasportatori. Ma se guarda alle concessionarie estere di Atlantia, ecco che nello stesso periodo il traffico è aumentato del 4,2%. A conferma del trend ecco i dati di Autogrill, che della presenza nella ristorazione e vendite commerciali in autostrada ha l’80% del business in Italia: -7%. Non buoni, ma meno pesanti, i numeri negli altri paesi europei, mentre sulle autostrade americane non solo c’è stata crescita delle vendite, ma essa è risultata superiore a quella del traffico, che si è incrementato soprattutto grazie della diminuzione del prezzo del carburante (che invece in Italia ha raggiunto livelli record). Per fortuna la multinazionale guidata da Gianmario Tondato ha ottenuto ottimi risultati nel “travel retail” e ha tenuto bene in Nord America, compensando così la congiuntura negativa europea e italiana. Ma è evidente che ora dovrà fare interventi di razionalizzazione, riducendo il numero dei punti di ristoro (in Italia la densità di aree di servizio pari a 6,4 ogni 100 km, non ha eguali nel mondo) e i tempi di funzionamento. In particolare, non ha senso che rimangano vecchi obblighi imposti dall’Anas, che imponevano per tutte le aree di servizio l’apertura h24 (in moltissimi casi la fascia oraria notturna produce perdite secche). Ma questo sarà uno dei tanti temi che dovrà affrontare la nuova authority dei trasporti. Così come il governo dovrà ragionare sul fatto che l’eccesso di carico fiscale sull’oil finisce per ripercuotersi sui consumi, creando un perverso testa-coda anche dal punto di vista dell’erario, oltre che un danno all’economia perché diventa un volano recessivo. Mentre i concessionari dovranno accettare royalties variabili, magari legate al fatturato e parametrate a livello Ue.
In gioco non c’è solo un valore assoluto come la mobilità di persone e merci, né solo quello di un pezzo importante dei consumi nazionali. No, c’è anche e soprattutto il modello italiano dei servizi autostradali – sì, quello decantato da Bill Emmot nel suo libro “Forza, Italia” – che ha raggiunto negli anni un livello di eccellenza ineguagliato nel mondo, il quale ha permesso lo sviluppo di un mercato capace di generare occupazione e creare valore per concedenti, concessionari e consumatori.
Bisogna difendere questa filiera – così come occorre superare una volta per tutte l’instabilità normativa e tariffaria relativa ai concessionari autostradali (ma vale anche per quelli aeroportuali) – sapendo che non sempre la concorrenza (se favorisce operatori non specializzati) e la duplicazione nell’area di servizio (oil da un lato e ristorazione dall’altro significa costi maggiori) generano efficienza
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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