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Tutti gli errori su Alitalia

Autolesionismo all'italiana

Ne abbiamo vuote le tasche dei furbi che dicono “asset strategico” senza sapere indicare né l’asset né la strategia.

di Davide Giacalone - 16 ottobre 2013

Quando i fessi si mettono a fare i furbi finiscono presto davanti a un bivio: sembrare più fessi di quel che sono o passare per maneggioni. In vicende come Alitalia ci siamo specializzati nel ficcarci in vicoli ciechi. Poi, per darci un contegno, ci scambiamo all’interno accuse d’affarismo. L’autolesionismo trionfa per l’incapacità d’iscrivere questioni specifiche in politiche coerenti, talché, alla fine, ci si trova nella condizione che l’unico modo per prendere l’applauso consiste nell’autoevirarsi. Siccome la matassa s’è ingarbugliata, procediamo con ordine.

1. Avendo annunciato l’ingresso di Poste Spa (le azioni sono tutte intestate allo Stato) in Alitalia Spa ci siamo beccati l’accusa (sebbene non formalizzata) di volere dare “aiuti di Stato”, che sono proibiti. Ciò avviene in un’Unione europea in cui i soldi dei contribuenti sono stati largamente utilizzati per salvare, e talora nazionalizzare, banche inglesi, francesi, tedesche, belghe e via andare. Con la Francia in cui lo Stato controlla Orange (ex France Telecom), possedendone più del 27%, e in cui la compagnia di bandiera, Air France-Klm, è posseduta per quasi il 16% dallo Stato francese e per quasi il 6 da quello olandese. Con la Germania che non molla manco per sogno Deutsche Telekom, mantenendone in mano pubblica (Stato più Kfw, la loro Cassa depositi e prestiti) quasi il 32%. Potrei riempire la pagina con altri esempi europei, ma forse bastano. La grande differenza è che altrove sono politiche, mentre qui sono pezze a colori.

2. Alitalia è stata salvata nel 2008. Doveva essere l’ultima volta, dato che la parte attiva fu ceduta a una cordata di privati. Il vero obbrobrio non fu il salvataggio e la cessione, ma il pretendere di cancellare la concorrenza, fondendo anche AirOne, quindi salvando l’ennesimo imprenditore incapace e la solita banca che gli presta i soldi (Intesa), con in più la pretesa di mantenere l’esclusiva nella tratta Roma-Milano-Roma, ove le tariffe restarono deliranti, ma ampiamente battute dalla concorrenza del treno ad alta velocità. 3. A fronte di questa brillante prestazione gli imprenditori che investirono devono perdere i soldi e i manager che gestirono il loro posto. E’ l’unica vera moralità del mercato: chi produce valore s’arricchisce e chi lo brucia s’impoverisce. Se si nega quella moralità ogni immoralità prende il suo posto. (L’Italia è ricca delle sue piccole imprese, che continuano a produrre ricchezza anche perché non le salva mai nessuno).

4. Non si confonda, però, la sorte di quegli investitori con quella di Alitalia. Sarebbe bene che tutti leggessero l’ottimo appello pubblicato da Fondazione Edison, Unioncamere e Symbola (Oltre la crisi): si blatera di turismo in crisi, il che è vero per il calo dei consumi interni, ma restiamo il primo Paese europeo per afflusso di turisti da area extra Ue; primi per arrivi da Cina, Brasile e Giappone; alla pari con la Gran Bretagna per arrivi dagli Usa; secondi per arrivi da Canada, Sudafrica, Australia e Russia. Tutta gente che arriva da noi nonostante l’ultima gestione Alitalia abbia tagliato tratte di lunga distanza (lungimiranti), il che dimostra che la meta conta più del vettore. Ma dimostra anche che c’è un mercato ricchissimo da sfruttare (siamo i primi, ma possiamo fare molto di più). Allora, niente furbizie: se si prova a salvare Alitalia, senza con questo difendere chi l’ha male amministrata dalle conseguenze dei suoi errori, con un’operazione ponte che le consenta di aprirsi agli investimenti di chi ci porta turisti e ricchezza è più che ragionevole. Ma si dica che è un ponte e dove va a cadere. Poste è forse il soggetto meno adatto, ma si può passare anche su ciò se, e solo se, quella partecipazione all’aumento di capitale viene spiegata come soccorso momentaneo.

5. Sono un fautore delle privatizzazioni, come anche degli investimenti dall’estero. Ma, senza essere furbo, neanche mi piace fare il fesso: non si privatizza in Italia per nazionalizzare in Francia o Germania. 6. Le privatizzazioni devono essere l’occasione per restituire allo Stato il ruolo di regolatore e controllore. Servono anche ad aprire le finestre di un capitalismo claustrofobico e cleptomane. Qui abbiamo fallito. Strafallito. Le nostre autorità non sono autorevoli manco per niente, bensì ricettacolo di trombati incompetenti. I condottieri d’impresa sempre gli stessi, variamente arricchiti ciucciando risorse pubbliche. Dalla tragedia di Telecom Italia (Massimo D’Alema continua a chiamarla “operazione di mercato”, ma fu l’umiliazione del mercato e dello Stato, fu la negazione del diritto, un filotto storico e vergognoso) ancora originano cordate galleggianti. I salotti hanno divani sfondati, eppure sempre ossequiati da una stampa scodinzolante. Tutto questo non produce (solo) guasti estetici, ma economici, perché umilia e marginalizza imprenditori e dirigenti d’azienda che mietono successi nel mondo e rendono ancora prestigioso il nostro Paese. Ricambio, accidenti, ricambio.

Ne abbiamo vuote le tasche dei furbi che dicono “asset strategico” senza sapere indicare né l’asset né la strategia. Fanno l’occhio vispo, ma son fessi. Gli interessi nazionali si difendono a testa alta e senza sotterfugi dilettanteschi. Alitalia può essere mollata o sostenuta, ma si deve dire avendo in mente quale obiettivo, in quali tempi e con quali soldi. Farla tornare pubblica sarebbe sadomasochismo.

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