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Public Policy

Occhio. Si respira lo stesso clima del 1994

Attenzione alle sorti del Paese

Il secondo crak della Repubblica

di Enrico Cisnetto - 29 novembre 2010

I napoletani nauseati (in tutti i sensi) della spazzatura che li circonda. I veneti alluvionati che non vogliono più pagare le tasse. I personaggi dello spettacolo che usano il red carpet per manifestare contro i cosiddetti “tagli alla cultura”. I viaggiatori che subiscono con crescente irritazione ogni giorno di più il degrado del sistema aeroportuale (ultimo caso quello di Linate, bloccata ieri per un dito di neve). Gli studenti che riempiono le piazze d’Italia e invadono il Senato facendolo bersaglio del lancio di uova e altro. Gli imprenditori edili e i lavoratori delle loro aziende che mercoledì prossimo sfileranno insieme davanti a Montecitorio per protestare per l’abbandono di un settore che paga la crisi con la perdita di 290 mila posti di lavoro tra diretti e indotto. La lista degli italiani a torto o a ragione “incazzati” si allunga ogni giorno, dando il senso di un paese in rivolta: contro il governo, sì, ma più in generale contro la politica, nazionale e locale, la classe dirigente più a contatto con il ceto politico, e perfino le istituzioni.

Sia chiaro, non tutti i motivi di ribellione sono fondati, non tutte le istanze sono condivisibili (si pensi, per esempio, alla vacuità della protesta degli universitari, che pure avrebbero molti motivi per “fare la rivoluzione”). Ma non c’è dubbio che il distacco dei cittadini, che oscillano tra la rabbia e la rassegnazione, poggi su solide e legittime motivazioni. C’è ovviamente il qualunquismo a fare da impasto di vari sentimenti, ma sarebbe un errore esiziale trascurare, minimizzare, condannare. Anzi, se a qualcuno tra i membri del ceto politico gli è rimasto ancora un barlume di lucidità, sarà bene che si applichi a capire cosa succedendo in quella che un bel libro di Beppe Severgnini ha chiamato “la pancia” del Paese.

Se poi questo qualcuno ha i capelli bianchi e ha già vissuto in prima persona la stagione che tra il 1992 e il 1994 ha portato alla caduta della Prima Repubblica e alla nascita della cosiddetta Seconda, sarà bene che rispolveri la memoria e magari si vada a rileggere i giornali di quel periodo. E sì, perché quello che sta succedendo oggi è già accaduto – magari in forme diverse ma con eguale senso, intensità e (probabilmente) conseguenze – 18 anni fa. Perché se è vero che a travolgere la classe politica di allora furono le inchieste di Tangentopoli, senza le quali il “popolo indignato” non avrebbe provocato quella traumatica epurazione, è altrettanto vero che il discredito – meritato o meno che fosse – sommerse i politici senza che questi si fossero accorti (o comunque il grado di consapevolezza era assai basso) di quanto stava succedendo e che questa mancata comprensione della realtà del Paese li espose senza riparo alla ferocia della magistratura. Ecco, quello che mi pare accada anche oggi è proprio questa diffusa incapacità di leggere lo stato d’animo degli italiani, sottovalutarne di conseguenza le reazioni e quindi trovarsi impreparati di fronte a quanto può succedere.

Forse questa volta non sarà quella della magistratura – che pure è rimasta quella di allora, visto che nessuno è stato capace di riformare la giustizia, anche se forse manca (per fortuna) la trama che il pool di Milano seppe organizzare – la mano che farà cadere il sistema politico, ma è certo che il clima che si vive nel Paese è quello adatto, come lo fu allora, per un cambio di stagione politica. E come nel 1994, forse ancora di più, a lasciarci le penne non sarà soltanto chi sta a palazzo Chigi. A rischiare di essere travolti saranno un po’ tutti, anche quelli che oggi pensano che assestando il colpo del ko a Berlusconi potranno trarne vantaggio, o almeno conquistare il lasciapassare per la Terza Repubblica.

Si dirà: ma se nelle ultime elezioni della Prima Repubblica, quelle che si tennero il 5 e 6 aprile 1992, il “pentapartito” raccolse complessivamente il 54% dei voti alla Camera e superò seppur di poco il 50% al Senato, significa che il malcontento riguardava un numero limitato di italiani, o comunque non si traduceva più di tanto sul piano elettorale. E quindi se ne può trarre l’indicazione che il rischio è limitato. Replica: è vero il consenso allora era alto, perché come sempre la gente vota per chi c’è e in quella circostanza la Dc, il Psi e gli altri partiti non erano ancora stati travolti e azzerati. E anche questa volta, c’è da giurarci, se si votasse domani i due partiti che incarnano il bipolarismo che ha tenuto banco in questi anni – in modo fallimentare, purtroppo – finirebbero per assicurarsi complessivamente il 55% dei voti (però alle Politiche del 2008 la somma di Pdl e Pd faceva il 70%).

Ma questo non significa che, come 16 anni fa, la perdita di credibilità della politica e delle istituzioni – oggi molto più accentuata di allora, non fosse altro per l’effetto sommatoria – potrà creare le condizioni perché partiti e uomini politici siano spazzati via. Non dico questo con il sorriso sulle labbra e fregandomi le mani. Non lo feci allora, non lo faccio oggi nonostante che ora il desiderio di cambiamento sia in me molto maggiore di quello che provavo a quel tempo. Dico solo che non è difficile pronosticare che avverrà, e che sarà traumatico.

E ribadisco che travolgerà tutti o quasi: travolgerà il premier, il suo partito e il “berlusconismo”, ma anche chi oggi fa calcoli sul dopo Berlusconi. Sarà difficile salvarsi – quale sia il fronte su cui ci si è attestati, quello del “capo” o quello degli “anti” – se non si comprende bene, fino in fondo, quel che sta accadendo oggi nella società italiana, pronta persino a benedire (o quantomeno a subire) una secessione nel tentativo di dar sfogo alle proprie ire e nella speranza di trovare una soluzione magica a tutti i problemi. Molto più di due decenni fa gli italiani sono intrisi di scetticismo e privi di attese positive per il futuro. Chi in politica – e persino tra chi aspira ad entrarci – crede di essere esente dalle possibili conseguenze di questi sentimenti, si sbaglia di grosso ed è destinato a subire cocenti delusioni e brucianti sconfitte.

Queste riflessioni vogliono essere un messaggio a tutti coloro che, con sincera attenzione alle sorti del Paese, intendono porsi il problema di come uscire dalla drammatica situazione in cui è piombata la politica, vogliono cambiare il sistema politico e ridefinire pur senza stravolgimenti gli assetti istituzionali. Insomma, tutti quelli che non solo vogliono la Terza Repubblica – ormai un po’ tutti, dopo aver demonizzato, da destra come da sinistra, quelli che ne hanno parlato in tempi non sospetti – ma la vogliono tale da rappresentare davvero una svolta di modernità per la vecchia e malandata Italia. Ebbene, sbagliare ora, dopo aver atteso per tanto tempo che si capisse che razza di guai procurava il bipolarismo all’italiana, sarebbe un errore davvero imperdonabile.

Non tutte le bandiere che ora sventolano la Terza Repubblica – tardivamente e senza uno straccio di analisi seria su quanto è successo e ancor più senza uno straccio di proposta per come evitare di ripetere gli stessi errori che ci furono nel passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica – sono buone. Occhio.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.