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La battaglia sulla previdenza complementare

Attenti al conflitto generazionale

Una situazione sfavorevole ai giovani, da disinnescare con una informazione rigorosa

di Filippo Tozzato - 20 ottobre 2005

In questo periodo in cui cresce l’attesa per il decreto legislativo che dovrà definire le modalità con le quali si dovrà destinare il Tfr alla previdenza complementare, vorrei cogliere l’occasione per fare alcune riflessioni sul complesso mondo comunemente detto delle pensioni.
E il punto di partenza non può che essere una semplice domanda, che idealmente vorrei porre ad un ragazzo di età compresa tra i 20 e i 30 anni:

“Una volta raggiunta l’età pensionabile, che pensione immagini riceverai? Cioè, in altre parole, quale sarà il valore della pensione che riceverai rispetto l’ultima busta paga?”. La risposta è: se andrà bene, la pensione che riceverai sarà pari al 50% dell’ultima busta paga. Secondo me la risposta a questa domanda deve, ma soprattutto dovrà essere il modo più semplice, sincero e utile per spiegare a tutti l’importanza delle riforme delle pensioni che sono state fatte fino ad oggi (e anche di quelle che sicuramente si renderanno necessarie in futuro). Dovrà servire come punto di partenza per spiegare perché si è arrivati a questo punto, ma soprattutto dovrà servire per spiegare che comunque ci sono degli strumenti alternativi (o meglio complementari) a disposizione di tutti per limitare gli effetti di questa “brutale” risposta.

Innanzitutto però, cerchiamo di capire come si è giunti a questa situazione: la lunga evoluzione del sistema pensionistico italiano ha sicuramente in due date i suoi punti di svolta fondamentali.
La prima data è il 1945, quando in seguito al regime di iperinflazione seguito alla seconda guerra mondiale, si modificò il modo di finanziare la previdenza pubblica, prima affiancando e poi sostituendo completamente il sistema a capitalizzazione con il sistema a ripartizione.
Il funzionamento dei due sistemi è molto semplice, ma si fonda su presupposti totalmente differenti: mentre nel sistema a capitalizzazione i contributi di oggi, versati dai lavoratori di oggi, sono investiti e serviranno a finanziare le pensioni di domani, che presumibilmente verranno percepite dagli stessi lavoratori che nel frattempo saranno andati in pensione, nel sistema a ripartizione i contributi di oggi vengono subito utilizzati per finanziare le pensioni di oggi.
La seconda data è il 1969, anno in cui venne estesa la previdenza sociale a categorie sempre più ampie di lavoratori ed inoltre iniziò la progressiva diminuzione della soglia di età per accedere alle prestazioni pensionistiche, affiancando alle pensioni di vecchiaia le pensioni di anzianità. Con il sistema a ripartizione infatti fu possibile finanziare l’estensione previdenziale anche a chi in quel momento aveva pochi, (o nulli) contributi versati.

Fu in quegli anni che furono gettate le basi per un potenziale conflitto generazionale che ad oggi, nonostante le riforme già adottate, non appare del tutto disinnescato.

Questo perché, mentre nel sistema previdenziale a capitalizzazione si ha una redistribuzione del reddito tra momenti diversi della vita dell’assicurato, nel sistema a ripartizione la redistribuzione del reddito avviene tra generazioni diverse di beneficiari: in altre parole la generazione anziana viene mantenuta dalla generazione giovane, in cambio dell’implicita promessa da parte dello Stato che quando sarà divenuta anziana godrà dello stesso trattamento da parte delle generazioni future.
Il sistema sembra perfetto, ma ha un unico problema: funziona a parità di condizioni demografiche, di mercato del lavoro e di finanza pubblica. Quando queste condizioni variano (come vedremo) e si rende necessario un ritorno al sistema a capitalizzazione, le ultime generazioni si troveranno ad aver pagato le pensioni di altri senza che ci sia più nessuno che pagherà le loro.

In questa situazione, cerchiamo di spiegare come le condizioni sopraindicate abbiano portato alla crisi del sistema a ripartizione:
Dinamica demografica: l’allungamento dell’aspettativa di vita, unito al calo delle nascite ha fatto si che vi siamo molte più pensioni da erogare e molte meno “nuove braccia” che possano finanziarle….e tale forbice è destinata ad allargarsi nel tempo;
Crisi del mercato del lavoro: conseguenza diretta della crisi del sistema industriale produttivo italiano, incide negativamente sulle prestazioni erogate da un sistema a ripartizione in quanto diminuendo (o comunque non incrementando) gli occupati diminuiscono anche i contributi previdenziali versati;
Finanza pubblica: già dalla fine degli anni 70 il sistema previdenziale italiano è entrato in disavanzo, quindi per pagare le prestazioni pensionistiche non erano più sufficienti i contributi dei lavoratori in attività, ma lo Stato doveva intervenire per “coprire il buco”…ovviamente tale problema si è ingigantito negli anni sommandosi ai vari problemi di gestione della nostra finanza pubblica.

Queste dunque le principali cause che hanno portato alla crisi del previdenza italiana, fondata sul sistema a ripartizione, cause che come è possibile notare non sono tra esse indipendenti, ma che invece tendono a rafforzarsi e ad aggravarsi reciprocamente; cause che hanno portato dall’inizio degli anni novanta ad oggi a mettere mano ben tre volte al sistema previdenziale con riforme molto incisive, ma probabilmente non ancora sufficienti a risolvere del tutto i problemi.
Tali riforme hanno sostanzialmente ridisegnato il sistema previdenziale creando le condizioni per un progressivo svuotamento delle pensioni pubbliche basate sul sistema a ripartizione, andando nel tempo a ridurre sia le prestazioni che le modalità di accesso (innalzamento età), ma d’altro canto cominciando a creare le condizioni per la nascita di un secondo pilastro previdenziale, quello dei fondi pensione, da affiancare ad un terzo già esistente ma da far crescere: quello del risparmio privato.

E qui, veniamo alla mia domanda iniziale: se nessuno mette in dubbio la necessità di tali riforme, quello che non si spiega è la lentezza con cui si sta dando un quadro normativo di riferimento in particolare al secondo pilastro della previdenza, quello che nelle intenzioni dovrebbe poter colmare in buona parte la distanza tra le prestazioni pensionistiche che ancora oggi eroga il sistema pubblico e quelle che potrà erogare in futuro.
Mi rendo conto che il problema sia complesso, soprattutto perché gli interessi in gioco sono molti e contrastanti. In particolare lo smobilizzo delle quote da accantonare al Tfr per essere destinate al finanziamento dei fondi pensione, apre non poche problematiche per il mondo delle imprese.
Del resto però si tratta di decisioni da prendere in fretta, perché se è pur vero che la progressiva diminuzione delle prestazioni pubbliche è già stata decisa, è altrettanto vero che le pensioni complementari che i cittadini dovrebbero costruirsi sono ancora tutte da fare…e dovranno scontrarsi sia con le lentezze legislative nel costruire un quadro normativo di riferimento chiaro, sia con la naturale….non conoscenza delle persone sull’assoluta necessità di accedere a tale strumenti per garantirsi una vecchiaia meno problematica.
In particolare per quanto riguarda il quadro normativo, con la prossima presentazione del decreto legislativo sullo smobilizzo del Tfr, la situazione dovrebbe sbloccarsi e con il nuovo anno le persone potranno finalmente decidere cosa fare.
A questo punto probabilmente inizierà la parte più difficile, in quanto sarà necessario informare le persone, su quello che sarà il futuro a parità di condizioni (ecco quindi il senso della mia provocazione iniziale) e su quelli che sono gli strumenti predisposti per, quantomeno limitare, gli effetti delle riforme fin qui approvate.
Il problema dell’informazione da dare, che dovrà essere il più completa, rigorosa e imparziale possibile, sarà un problema molto grosso, in quanto le risorse finanziarie che potenzialmente si sbloccheranno saranno ingenti e gli attori candidati a gestirle saranno molti (assicurazioni, banche, sindacati, imprenditori, ecc.) e forse, come sempre accade ci sarà chi tenterà di approfittarne privilegiando l’interesse privato (o di parte) a quello collettivo.
Bisognerà fare molta attenzione, perché in questo caso la posta in gioco sarà molto alta. In ballo non ci saranno i benefici derivanti da una vittoria elettorale, o da una legge ad personam; in ballo questa volta ci sarà il futuro di quelle generazioni che già ad oggi hanno perso l’opportunità di usufruire delle pensioni per cui stanno pagando i contributi, ma che domani potrebbero vedersi sfuggire anche la possibilità di potersi almeno costruire da sé la pensione.

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