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Public Policy

Tre tipi di attese del mondo economico

Aspettative

Anche immaginare la Terza Repubblica aiuta a far crescere il pil

di Enrico Cisnetto - 26 febbraio 2012

Ci sono tre ordini di aspettative che il mondo economico ha maturato nei confronti del governo Monti e della politica. Una è di tipo immediato: salvare le imprese dalla gravissima crisi di liquidità che ha prosciugato loro non solo le prospettive future ma anche il presente quotidiano. È un tema su cui è pericoloso generalizzare, perché molte sono le situazioni in cui il merito di credito è oggettivamente andato a farsi benedire e se, ciononostante, i finanziamenti ci fossero (come è avvenuto nel passato), significherebbe semplicemente procrastinare la morte di imprese ormai prive di mercato, trasferendo i costi sulle banche. Ma è ugualmente vero che ci sono fior di aziende, in particolare quelle proiettate sui mercati internazionali, che potrebbero fare di più e meglio se solo avessero credito, non dico facile ma almeno “normale”. Per questo occorre smetterla di mettere in croce le banche, e invece aiutarle ad aiutare le imprese. Inoltre ci sono 70-100 miliardi di fatture inevase da parte delle pubbliche amministrazioni, che vanno pagate subito con Btp anche a costo di aumentare il debito pubblico. La seconda aspettativa riguarda alcune questioni di tipo più strutturale. Ne estrapolo due, che possono essere aggredite nei 13 mesi che ci separano dalla fine della legislatura: la riforma del mercato del lavoro, da cui non può essere disgiunta quella più complessiva sul welfare, e la riduzione del carico fiscale. Sul primo fronte il governo è impegnato in una partita difficile, stretto tra il comportamento conservativo delle parti sociali e i problemi che la vicenda dell’articolo 18 ha aperto nel Pd. Ma se procedesse comunque, potrebbe guadagnarne in credibilità e consenso (si ricordi l’esito del referendum sulla scala mobile del 1985), e gli imprenditori – a prescindere dalle posizioni delle loro associazioni di categoria – sarebbero i primi a battere le mani e sentirsi incoraggiati a tornare ad investire. Cosa che farebbero ancora più volentieri se fosse messo mano anche al regime fiscale. Il che significa, visti i vincoli di finanza pubblica, due cose. Primo: un taglio almeno sette punti di pil della spesa pubblica corrente (portandola dal 52% al 45% della ricchezza nazionale), attraverso una spending review mirata non solo agli sprechi ma soprattutto su alcuni dei capitoli maggiori (per esempio, la semplificazione del decentramento amministrativo, che a regime potrebbe far risparmiare un centinaio di miliardi). Secondo: un intervento una-tantum sul debito, mettendo in campo il patrimonio pubblico – che va portato in Borsa con una società veicolo – e quello privato, cui bisogna non infliggere una tassa patrimoniale ma chiedere un acquisto forzoso di titoli della stessa società quotata. Poi con i due terzi del ricavato si potrà abbattere il debito, e con l’altro terzo fare crescita, tagliando le tasse sulle imprese e rilanciando investimenti pubblici in conto capitale. Ma siccome ciò che manca oggi è soprattutto la fiducia – bruciata da una stagione politica passata tra impotenze (centro-sinistra) e declamazioni (centro-destra) che hanno privato il Paese di un vero governo, quello delle decisioni – per riaccendere il motore spento dell’economia non basta l’orizzonte temporale dei prossimi 13 mesi, bisogna cominciare a delineare una prospettiva anche per il “dopo”. Anche definire come dovrà essere la Terza Repubblica fa crescere il pil.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.