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Non possiamo più attendere

Aspettando il 14 dicembre...

Il rischio è che, ancora una volta, non accada nulla

di Davide Giacalone - 30 novembre 2010

Il mondo attende di sapere se dalla falla apertasi negli archivi della segreteria di Stato statunitense sono uscite solo riproduzioni di chiacchiericci o notizie precise su come si sono articolati affari altrimenti a tutti noti. Noi italiani, nel frattempo, attendiamo di sapere se il governo otterrà la fiducia, dovendosi stabilire se muore subito o con la legislatura, qualche tempo appresso. L’Europa attende di sapere se il salvataggio dell’Irlanda fermerà la speculazione sui debiti sovrani, o se si sposterà verso qualche altro Paese, scontando la debolezza istituzionale alle spalle dell’euro.

Dalle nostre parti, invece, l’opposizione attende che sia approvata la legge di stabilità (che ritiene essenziale), in modo che ci si possa finalmente dedicare alle cose che più premono, ovvero la crisi del medesimo governo che ha scritto quella legge. Da più parti si guarda alle pubblicazioni di Wikileaks, domandandosi se c’entra qualche cosa il mai sopito conflitto interno all’amministrazione, fra il Presidente e il segretario di Stato, Hillary Clinton. Qui da noi si guarda al forsennato tafferuglio fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, chiedendoci se le sue cause siano più politiche (a scoppio ritardato) o freudiane.

In tutto il mondo occidentale, almeno quello con la testa sulle spalle, ci si chiede se il mantenimento degli attuali livelli di welfare state sia compatibile con la globalizzazione, da noi si reclama che le università fra le più dequalificate del mondo assumano quanti più docenti possibile, magari congiunti degli attuali cattedratici e rettori, in modo da salvaguardare il sacro valore della famiglia. Non elenco queste diverse condotte e attitudini per gusto di autoflagellazione nazionale, perché, al contrario, sono convinto che il nostro Paese abbia le carte in regola per eccellere. Lo faccio perché è in questa attitudine collettiva che risiedono le cause di quindici anni passati a perdere competitività.

Da questa mattina mancano quindici giorni alla data fatidica del 14 dicembre, quando, oltre tutto, potrebbe non accadere nulla. Ci sono, difatti, tre possibilità. La prima è che il governo perda la maggioranza anche al Senato, distruggendosi. Non accadrà, credo, quindi si passerà alla Camera dei Deputati. La seconda ipotesi è che qui manchi la fiducia, per decisione dei finiani (che cosa desolante: i berlusconiani, i finiani, nell’oblio d’idee, programmi e proposte). In questo caso si va alle elezioni anticipate, perché ogni ipotesi alternativa, in un momento di così grave tensione sui mercati internazionali, comporterebbe l’incapacità di governare il sobbollimento sociale, e perché gli elettori hanno votato un governo e non se ne possono trovare uno mai votato. La terza ipotesi è che il governo agguanti una maggioranza, ritrovandosi costituzionalmente nella pienezza dei suoi poteri. Ma a che servirebbe, posto che ogni passaggio parlamentare diverrebbe un paludoso procedere fra trappole e agguati?

Arriveremo al 14 dicembre, quindi, e non saremo in condizioni diverse da quelle in cui ci troviamo già oggi, costretti a ballare da fermi nel mentre le economie dei Paesi concorrenti incrementano la ricchezza con più velocità. Nella più famosa commedia del teatro dell’assurdo, “Aspettando Godot”, di Samuel Beckett, lo spettatore è coinvolto in un’attesa di ciò che non accade, di chi non arriva. Qui abbiamo fatto un salto ulteriormente surreale: arriva e non cambia nulla. Ma non siamo sul palcoscenico, non c’è rete di sicurezza e la faccenda non finisce con il sipario.

Pubblicato da Il Tempo

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