I debiti della Pubblica Amministrazione
Arrivano i soldi, se arriva un governo
Anche se in ritardo, dall'Unione europea arriva l'allentamento del rigore, con la possibilità che la pubblica amministrazione paghi le aziende. Ma ci vuole un governo, o qualcosa del generedi Davide Giacalone - 20 marzo 2013
Ballano 50 miliardi, che quest’anno dalla pubblica amministrazione potrebbero (e dovrebbero) andare alle aziende che hanno fornito beni e servizi. Il resto, altri 25 circa, l’anno prossimo. Debiti che lo Stato non paga, colpevolmente. Ma balla anche di più: la disponibilità della Germania ad allentare la morsa che incrudelisce la recessione, accettando che siano inserite in una contabilità diversa sia la spesa per investimenti che quella necessaria per pagare debiti invecchiati, e balla la capacità dell’Italia di non affogare nelle proprie arretratezze, dimostrando di saperle superare. Ottima, quindi, la notizia giunta dalla Commissione europea, ma da sola non genera un bel nulla. Senza un governo operante, e non delirante, quei soldi resteranno nel libro dei sogni, mentre in quello degli incubi metteremmo ulteriori opportunità sprecate.
Perché quei soldi fruscino nelle mani dei creditori, vadano a ristorare i loro bilanci e rimettano in moto la macchina produttiva, affinché defluiscano a ridurre la loro esposizione con le banche, in questo modo aumentando la capacità di queste ultime di erogare nuovo credito, è necessario che il governo predisponga e il Parlamento approvi il Documento di programmazione economica e finanziaria. Si potrebbe provare a forzare la mano e i tempi, agendo con un decreto legge. Ma è doppiamente rischioso: a. perché è ardito che un governo in carica per gli affari correnti utilizzi quello strumento; b. perché anche a volere superare questa perplessità (cosa possibile, se il Quirinale concorda), resta il fatto che gli altri passi attuativi superano la durata dei sessanta giorni in cui il decreto è in vigore, talché sarebbe complicato gestire eventuali modifiche e sarebbe disastroso che decadesse, magari perché la legislatura nata morta è stata seppellita.
Questo passaggio è necessario, ma non esaustivo. Occorre anche rifornirsi della liquidità necessaria, il che può essere fatto mediante un’emissione dedicata di titoli del debito pubblico (che vanno venduti), oppure facendo ricorso alla Cassa depositi e prestiti, quindi accendendo un debito. Si può anche pensare ad mix delle due cose. Tutto questo non si fa con il pilota automatico. Non è come fare le lasagne al forno, che prepari la teglia, scaldi il forno e poi te ne vai, semmai è come il risotto: stai lì e segui l’operazione dall’inizio alla fine, altrimenti mangi un immondo pappone. Siccome i soldi devi andarli a prendere sul mercato, affinché te li diano non basta che il debito sia contabilizzato fuori dal patto di stabilità, occorre anche che chi li presta ti veda come soggetto dotato di una qualche stabilità (vale anche nel caso dei soldi Cdp, perché se bruciamo i depositi postali non è che il falò sia gratis). Ebbene, qui si torna a bomba: per fare queste cose c’è bisogno di un governo affidabile. E nella categoria non rientra un governo che dipenda da chi vuole fare il referendum sull’euro (a parte che i medesimi escludono anche solo l’ipotesi di fare parte di una maggioranza).
Non si dimentichi, inoltre, che secondo la legge italiana lo Stato non può pagare fornitori che non siano in regola con il fisco e con i versamenti previdenziali, semmai indirizzando le somme direttamente al creditore, cioè a sé stesso. Solo che molte aziende si trovano in quelle condizioni proprio perché lo Stato non le aveva pagate, quindi mancava loro la liquidità per adempiere agli obblighi fiscali e previdenziali. Sarebbe abominevole se oggi le si privasse dei loro crediti, in ragione di una colpa che non è loro, ma di chi li punisce. Anche per questo, però, è necessario l’intervento governativo.
Posto ciò, il governo Monti può certamente cominciare ad agire. Deve. Visto che sono tecnici facciano almeno le cose tecniche. Ad esempio: il debito complessivo dovrebbe ammontare alla somma dei debiti di ciascuna pubblica amministrazione, ma noi non abbiamo quel totale, abbiamo solo delle stime, perché nessuno conosce le singole voci. Roba da non crederci, ma è così: nell’era dell’informatica (cominciata nel secolo scorso) quei conti non sono ancora né trasparenti né centralizzati. Va fatto, subitissimo. Come va predisposto sia il Dpef, prima citato, sia l’eventuale veicolo cui far gestire i pagamenti. Gli spagnoli lo hanno creato e l’esperienza è positiva.
La notizia è ottima, pertanto. Oltre a consentire di mettere in circolazione soldi e di non oltraggiare ulteriormente la credibilità dello Stato, segnala un cambio di rotta europeo. Giunto tardi, ma che va colto. Ci manca solo che, a fronte di questa opportunità, l’Italia riesca a dimostrare di non avere una contabilità aggiornata e un governo in grado di operare.
Perché quei soldi fruscino nelle mani dei creditori, vadano a ristorare i loro bilanci e rimettano in moto la macchina produttiva, affinché defluiscano a ridurre la loro esposizione con le banche, in questo modo aumentando la capacità di queste ultime di erogare nuovo credito, è necessario che il governo predisponga e il Parlamento approvi il Documento di programmazione economica e finanziaria. Si potrebbe provare a forzare la mano e i tempi, agendo con un decreto legge. Ma è doppiamente rischioso: a. perché è ardito che un governo in carica per gli affari correnti utilizzi quello strumento; b. perché anche a volere superare questa perplessità (cosa possibile, se il Quirinale concorda), resta il fatto che gli altri passi attuativi superano la durata dei sessanta giorni in cui il decreto è in vigore, talché sarebbe complicato gestire eventuali modifiche e sarebbe disastroso che decadesse, magari perché la legislatura nata morta è stata seppellita.
Questo passaggio è necessario, ma non esaustivo. Occorre anche rifornirsi della liquidità necessaria, il che può essere fatto mediante un’emissione dedicata di titoli del debito pubblico (che vanno venduti), oppure facendo ricorso alla Cassa depositi e prestiti, quindi accendendo un debito. Si può anche pensare ad mix delle due cose. Tutto questo non si fa con il pilota automatico. Non è come fare le lasagne al forno, che prepari la teglia, scaldi il forno e poi te ne vai, semmai è come il risotto: stai lì e segui l’operazione dall’inizio alla fine, altrimenti mangi un immondo pappone. Siccome i soldi devi andarli a prendere sul mercato, affinché te li diano non basta che il debito sia contabilizzato fuori dal patto di stabilità, occorre anche che chi li presta ti veda come soggetto dotato di una qualche stabilità (vale anche nel caso dei soldi Cdp, perché se bruciamo i depositi postali non è che il falò sia gratis). Ebbene, qui si torna a bomba: per fare queste cose c’è bisogno di un governo affidabile. E nella categoria non rientra un governo che dipenda da chi vuole fare il referendum sull’euro (a parte che i medesimi escludono anche solo l’ipotesi di fare parte di una maggioranza).
Non si dimentichi, inoltre, che secondo la legge italiana lo Stato non può pagare fornitori che non siano in regola con il fisco e con i versamenti previdenziali, semmai indirizzando le somme direttamente al creditore, cioè a sé stesso. Solo che molte aziende si trovano in quelle condizioni proprio perché lo Stato non le aveva pagate, quindi mancava loro la liquidità per adempiere agli obblighi fiscali e previdenziali. Sarebbe abominevole se oggi le si privasse dei loro crediti, in ragione di una colpa che non è loro, ma di chi li punisce. Anche per questo, però, è necessario l’intervento governativo.
Posto ciò, il governo Monti può certamente cominciare ad agire. Deve. Visto che sono tecnici facciano almeno le cose tecniche. Ad esempio: il debito complessivo dovrebbe ammontare alla somma dei debiti di ciascuna pubblica amministrazione, ma noi non abbiamo quel totale, abbiamo solo delle stime, perché nessuno conosce le singole voci. Roba da non crederci, ma è così: nell’era dell’informatica (cominciata nel secolo scorso) quei conti non sono ancora né trasparenti né centralizzati. Va fatto, subitissimo. Come va predisposto sia il Dpef, prima citato, sia l’eventuale veicolo cui far gestire i pagamenti. Gli spagnoli lo hanno creato e l’esperienza è positiva.
La notizia è ottima, pertanto. Oltre a consentire di mettere in circolazione soldi e di non oltraggiare ulteriormente la credibilità dello Stato, segnala un cambio di rotta europeo. Giunto tardi, ma che va colto. Ci manca solo che, a fronte di questa opportunità, l’Italia riesca a dimostrare di non avere una contabilità aggiornata e un governo in grado di operare.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.