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L'Italia della "moral suasion"

Analfabetismo costituzionale...

In una democrazia non esistono cariche non destituibili

di Davide Giacalone - 09 settembre 2010

Si rilasciano, a cuor leggero, patenti d’analfabetismo costituzionale. Ed è sempre bello vedere che c’è chi s’appassiona alla Carta, anche dopo averne a lungo contestato alcuni contenuti, magari transitori e finali, o dopo averla letta tutta d’un fiato, avendo scarse doti per l’apnea.

Ma vorrei fare osservare che, eventualmente, porre al Presidente della Repubblica il problema apertosi con il presidente della Camera dei deputati non solo non è improprio, ma del tutto legittimo. Si può discutere la saggezza o la produttività di una tale questione, ma non la sua legittimità. La ragione di ciò si trova scritta proprio nella Costituzione, se solo si avesse l’amabilità di leggerla per intero, senza ingollarla a spizzichi e bocconi.

Devo premettere, per onestà e chiarezza, che non ho la minima idea se aprire quel tipo di discussione fosse nell’animo del presidente e del vice presidente del Consiglio. Non mi è sfuggito, però, che autorevoli quotidiani hanno aperto un contemporaneo e per nulla innocente fuoco di sbarramento, come se sollecitati da un non taciuto disagio del Colle più alto.

Dal Quirinale, del resto, non sono mancati ripetuti, insistiti e significativi ricorsi a quella che s’usa chiamare “moral suasion”, ove il ricorso all’idioma straniero segnala una certa difficoltà nel qualificare l’azione con vocaboli nostrani. Come si potrebbe chiamarlo, questo nobile riferimento alla persuasione morale: pressione non disciplinata, azione non prevista, iniziativa non costituzionalmente prescritta? E’ vero, tanto per fare un esempio, che il Presidente della Repubblica controfirma le leggi, ma è anche vero che non può rifiutarne la promulgazione, ove il Parlamento insista su un determinato testo, e, comunque, è escluso che possa, per il tramite di annunci e anticipazioni, indirizzare il lavoro del legislatore. Da noi non solo è successo, ma ci sono stati interventi quirinalizi anche sul calendario. Tutte ragioni per cui, insomma, non mi pare il caso d’avviare una disputa fra precisini.

Veniamo al caso del presidente della Camera. Quello attuale si chiama Gianfranco Fini e, ospite di uno studio televisivo, ha assicurato che resterà tale fino alla fine della legislatura. Potrebbe indicarmi, qualche costituzionalista, che tanto ne abbiamo in abbondanza, in quale articolo della Carta si dice che i presidenti delle Aule sono inamovibili e siedono nello scranno più alto, obbligatoriamente, per un’intera legislatura? La loro durata in carica è dedotta solo per assenza, non essendo prevista la procedura di revoca. Ma per altre cariche, come il Presidente della Repubblica, tale procedura è disciplinata, essendo stabilita la durata del mandato (sette anni).

C’è qualcuno che se la sente di sostenere che, sia pure per gravissime ragioni, il Presidente della Repubblica è destituibile e quello della Camera no? La prima carica può cadere, ma la terza no? Cercherei d’essere un po’ più rispettoso, nei confronti dei Costituenti, e valutare l’ipotesi che se essi non previdero una procedura specifica di revoca ciò si deve solo al fatto che non ritennero quella carica meritevole di particolari guarentigie, affidandola alle regole generali.

In ogni caso, ove un conflitto di quel tipo si apra, e s’è aperto, la questione a chi altri dovrebbe essere sottoposta se non al Presidente della Repubblica, proprio per le funzioni attribuitegli dall’articolo 87 della Costituzione? A lui non si devono chiedere le dimissioni, e men che meno il licenziamento del presidente della Camera, che sarebbe iniziativa giuridicamente e politicamente zotica, ma a lui va sottoposto il conflitto apertosi, affinché richiami ciascuno al rispetto del dettato costituzionale. Nel quale testo, credo che pochi lo

abbiano dimenticato e molti non lo hanno mai saputo, è previsto fianco che egli agisca in sostituzione dei presidenti delle Aule, potendo, al loro posto e senza neanche sentirli, convocare delle sedute straordinarie. I Costituenti gli diedero quei poteri di garanzia, perché mai, allora, non si potrebbe neanche portare alla sua attenzione i problemi apertisi?

Con ciò, lo ripeto, non intendo affatto sostenere che una simile iniziativa sia saggia, ma credo sia necessario rispondere ai tanti sapientoni che agiscono come gli scolari impreparati e improvvisamente interrogati: pronti a ripetere pappagallescamente i suggerimenti, senza essere in grado di valutarli. E sarebbe bene si sancisse la loro autonoma, per quanto improvvida, decisione di difendere chi non ne ha bisogno, altrimenti scatterebbe un sospetto riassumibile in: excusatio non petita, accusatio manifesta. Tanto per usare l’inglese degli antichi.

In una democrazia non esistono cariche non destituibili, se nate da voto popolare o dalla sovranità esercitata in nome del popolo. E se è tutelata, anzi, di più, se è ammirevole la volontà di condurre fino in fondo una battaglia politica, per sostenere le ragioni che ciascuno ritiene valide, non è ammissibile l’arroganza di chi conquista un posto grazie ad una maggioranza e poi pretende di considerarlo una proprietà, a dispetto di quella stessa maggioranza.

Se tutto questo fosse commentato, dagli osservatori distaccati e autorevoli, benché appassionati e partecipi (come sempre si conviene, in una democrazia), se fosse apostrofato, dalle cattedre come dalle libere coscienze, come una schifezza, lo capirei. Lo apprezzerei. Ma se s’imbraccia la Costituzione e si dispensano lezioni a ditino alzato, barando sul testo o non studiandolo a capo chino, se si entra nell’agone e si parteggia per partito preso, solitamente alleato al partito della pagnotta, la reazione più opportuna è quella suggerita dal grande Eduardo, ne “L’oro di Napoli”.

www.davidegiacalone.it

Pubblicato da Libero

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