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Autostrade: bocciato il comportamento del governo

Altro non è che una figuraccia

E se adesso Abertis cambiasse idea e si tirasse indietro? Non dovremmo stupircene

di Enrico Cisnetto - 20 ottobre 2006

Incredibile. Nella vicenda Autostrade il comportamento del governo – prigioniero dei giochini del ministro Di Pietro – è assolutamente intollerabile. Io stesso, da questa tribuna, avevo scritto qualche mese fa che ci potevano essere buoni motivi di interesse nazionale per impedire la fusione con gli spagnoli di Abertis, ma che il governo avrebbe dovuto renderli noti con un immediato diniego – assolumendosi la responsabilità di controbattere alla probabile sanzione della Ue – oppure in caso di parere favorevole o di mancanza di coraggio nel sostenere la sua contrarietà, che desse altrettanto celermente il via libera. Invece, prima si è lasciato che Di Pietro armasse una pubblica querelle durata mesi – trascurando del tutto il fatto che si trattasse di due società quotate in Borsa – e poi si è deciso di dire no assumendo come motivo formale la presenza nel capitale di Abertis di costruttori in potenziale conflitto d’interessi in relazione agli appalti autostradali. Peccato che quella motivazione – davvero risibile, sia rispetto a quelle che avrebbero potuto essere sollevate sia per la presenza consolidata anche in Italia di costruttori nelle società concessionarie, a cominciare dallo stesso rapporto azionario Acs-Abertis-Schemaventotto-Autostrade – sia stata giudicata inaccettabile da Bruxelles, e che Roma sia stata costretta a cancellare in fretta e furia la norma introdotta per sancire l’incompatibilità (oltre il tetto del 5%). Una mossa, tra l’altro, che non ha impedito alla commissione europea di aprire un procedimento nei nostri confronti. Ma che aveva consentito a Prodi, non più tardi di lunedì 16 ottobre, di dire a Zapatero, con un gesto che taluno ha giudicato non a torto un “calar di brache”, che per Abertis c’era “semaforo verde”. E al ministro Bonino – l’unica fin qui a tenere una posizione coerente – di affermare pubblicamente che ormai non esisteva più “alcun ostacolo” alla fusione.
Ebbene, dopo questo tira e molla che comunque aveva come sua conclusione l’affermarsi nel governo della linea ragionevole, ecco che il buon Tonino, disabituato a perdere, fa rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta. Così, s’inventa un emendamento all’articolo 12 del disegno di legge predisposto dopo le decisioni Ue, nel quale si modificano unilateralmente le condizioni delle concessioni autostradali, tra cui anche quella che è stata alla base della privatizzazione di Autostrade nel 1999. Ora, che quella cessione a privati sia stata realizzata, come per quasi tutte le altre privatizzazioni, con il solo scopo di fare cassa e con la più assoluta disattenzione a ciò che avrebbe potuto accadere in futuro, è un fatto. Ma da qui a intervenire ex-post, e senza neppure negoziare con le parti interessate, è cosa di gravità inaudita. E’ come dire: “scusate, ci siamo sbagliati, adesso le nuove regole concessorie sono queste, prendere o lasciare”. Sul momento qualche sensata reazione – dalla Bonino all’Udeur – aveva fatto sperare che si trattasse di una tignosa ma comprensibile reazione di Di Pietro, a fini comunicativi, e che tutto si sarebbe risolto in niente. Ingenuamente avevo pensato: se il presidente del consiglio dice pubblicamente “luce verde” al suo collega spagnolo, qualcosa dovrà pur dire. Mi ero sbagliato: il ministro ha puntato i piedi – mi veniva da scrivere ha fatto i capricci, ma ho proprio l’impressione che non si tratta di questo – e Prodi, avendo fatto suo il motto “sopravvivere”, non ha saputo di dirgli di no. Magari nella speranza che l’iter parlamentare possa modificare le cose in corso d’opera, ma per ora facendo una figuraccia di non poco conto con il compagno Zapatero. Perchè è chiaro che, a queste condizioni, l’operazione italo-spagnola è da considerarsi virtualmente tramontata. Primo perchè cambiando la concessione governativa cambia il valore di Autostrade, e quindi i concambi: quantomeno bisognerebbe rinegoziare tutto daccapo. Secondo perchè, dopo questa brutta esperienza, vertici e soci di Abertis hanno maturato una sfiducia nel sistema Italia che, considerato anche il tipo di business “politicamente sensibile”, li induce alla prudenza se non allo scetticismo. Insomma, non mi meraviglierei se nelle prossime ore Abertis facesse un comunicato per dire “grazie, ma ci abbiamo ripensato”. Dopo di che, nei convegni, si andrà a raccontare che gli investimenti esteri in Italia sono ancora troppo pochi e che occorre aprirsi.
Si poteva dire di no a Autostrade-Abertis, ma si è scelto (?) la strada peggiore.

Pubblicato sul Foglio del 20 ottobre 2006

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