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Un passaggio delicatissimo

Alfonso Papa, alla lettera

È ora di finirla con la politica occupata e condizionata dalle toghe

di Davide Giacalone - 12 ottobre 2011

La lettera che l’onorevole Alfonso Papa ha consegnato ad altri parlamentari pone questioni imprescindibili, di portata largamente superiore alla sua vicenda personale. Secondo il capo della procura napoletana, Giandomenico Lepore, “se la lettera è vera non merita commenti”. E’ vera, e merita un’inchiesta penale a carico dei magistrati di quella procura. Papa è un magistrato, un loro collega, e quel che espone presuppone reati gravissimi.

Quindi non si tratta di stabilire se esiste, ma se lui è un calunniatore o i procuratori dei delinquenti. E’ un passaggio delicatissimo, che coinvolge i vertici istituzionali e tracima nel vivo dell’attività legislativa, rendendo superflua anche la discussione sulle intercettazioni telefoniche.

Papa accusa i procuratori di utilizzare la custodia cautelare non al fine di preservare la genuinità della prova, ma, all’opposto, per ricattare il detenuto e indurlo a riconoscere (almeno parzialmente) la fondatezza delle accuse e chiamare in correità il presidente del Consiglio. La sola ipotesi che una simile condotta sia possibile restituisce il profilo di un Paese in cui la giustizia è tribale, priva di ancoraggi al diritto, regredita a minaccia contro l’incolumità e la dignità del cittadino. Non è ammissibile, quindi, neanche come ipotesi. La supposizione di Papa ha un qualche fondamento? Nel caso specifico non lo so, ma non solo è del tutto verosimile, ma trova riscontro nelle parole del Presidente della Repubblica che, negli auguri di fine anno, qualche tempo addietro, condannò proprio la galera preventiva quale sistema di tortura per indurre alle dichiarazioni che i procuratori voglio sentire. Si può, pertanto, non credere a Papa, si può supporre che egli stia facendo giungere messaggi intimidatori all’esterno, ma non si può ritenere che le sue parole siano, nel nostro sistema, prive di fondamento. Ed è questo il punto decisivo, che ciascuna persona civile non può dimenticare.

In questa situazione, che senso ha incaponirsi in una riforma delle intercettazioni telefoniche, fatta male, se da quella stessa procura è già uscito di tutto, per giunta nel corso d’indagini che non le competevano? Che altro deve succedere perché ci s’accorga che la giustizia italiana ha smesso d’essere tale, degenerata com’è in una guerra per bande, togate e non? Occorrono provvedimenti assai più radicali, che non il proibire quel che sarà comunque fatto (e che è già in gran parte proibito).

Papa ha anche invitato la delegazione parlamentare in visita, nel carcere di Poggioreale, a leggere i provvedimenti del riesame, che gli confermano la detenzione in carcere perché, “in quanto parlamentare”, non potrebbe essere sottoposto, ove assegnato ai domiciliari, alle restrizioni nelle comunicazioni. Quei suoi colleghi dovrebbero portare subito la questione all’attenzione del Parlamento, acciocché nessuno possa nascondersi la mostruosità nata da un voto autodemolitorio, i cui effetti erano stati qui visti e denunciati. E’ ora che ne prenda atto il Parlamento.

Tutto questo, lo scrissi allora e lo ripeto, del tutto a prescindere dalla posizione personale del cittadino Papa, quindi dei reati che può aver commesso e del processo nel quale ha il diritto di difendersi. Proprio in quanto magistrato non lo avrei neanche candidato, perché è (da molto tempo) ora di finirla con la politica occupata e condizionata dalle toghe. Ma la condizione di Papa, oggi, è politicamente rilevante sotto due profili: a. gli organi giurisdizionali non sono in grado d’impedire l’uso distorto e corruttivo della custodia cautelare, che va rivista per tutti; b. la scelta, fatta dai deputati, di mollare un ostaggio, nella speranza di riconquistare un pezzo di piazza e di placare l’attacco alla politica, è stata, al tempo stesso, vile e folle. La lettera di Papa c’è, come ci fu quella dell’onorevole Sergio Moroni. Vediamo quanti se la fanno sotto e fingono di non conoscerla. Provino pure a far finta di niente e faranno la stessa fine.

Pubblicato da Libero

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