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Scossa di emergenza data dal Fondo monetario

Alcune coincidenze emblematiche

Mister Rajan, visto che ha chiaro come stanno le cose in Italia, per favore, ci venga a salvare

di Enrico Cisnetto - 21 aprile 2006

Fine della campagna elettorale. C’è voluto il Fondo Monetario Internazionale, dopo la deplorevole asta delle promesse immantenibili, per riportare tutti alla realtà di un’emergenza economica e di finanza pubblica che non ci porterà fuori dall’euro, come rampogna il Financial Times, ma poco ci manca. E, a ben vedere, c’è qualcosa di emblematico nel fatto che l’allarme più grave mai lanciato da un organismo internazionale nei confronti dell’Italia, sia arrivato per bocca di un indiano. Raghuram Rajan è il capo-economista dell’Fmi, e non certo ha misurato le parole per dare il viatico al nuovo governo che Romano Prodi si ostina a voler varare nonostante non abbia vinto (politicamente) le elezioni: “sfide tremende” cui far fronte con “misure urgenti da prendere, come se si fosse sul piede di guerra”. L’India è, con la Cina, il paese che più sta cambiando la faccia del mondo; una trasformazione alla quale noi italiani – in questo non diversamente dal resto della vecchia Europa – opponiamo o un ignorante distacco o un emotivo rifiuto, sentimenti in tutti i casi fortemente autolesionistici. Per questo ha un che di presago di quelli che saranno (a nostro sfavore) i futuri rapporti di forza nell’economia globalizzata, o se si vuole in quella che una volta si chiamava marxianamente la “divisione internazionale del lavoro”. Il monito dell’Fmi tradotto in italiano significa due cose molto precise. Primo: cari politici, prendete e buttate nel cesso tutte le fregnacce che avete raccontato nella ricerca dei voti, perchè non solo non c’è spazio per ridurre le tasse (siano esse il cuneo fiscale o l’Ici), ma dovrete fare subito una manovra correttiva su deficit e debito per evitare il peggio. Di quanto debba essere questo intervento l’Fmi non lo dice, ma la pur prudentissima Bce ha già fatto trapelare la cifra minima di 7 miliardi (più di mezzo punto di pil), sempre che siano rispettate tre condizioni: che il deficit non superi il 4% (3,5% previsto dal governo Berlusconi), che la crescita sia almeno dell’1,3% (ma l’Fmi ora dice 1,2% dopo che solo un mese fa prevedeva 1,5%) e che le stime di bilancio contenute nell’ultima Finanziaria di Giulio Tremonti siano rispettate (cosa mai successa prima). Ora, considerato che tutte le ipotesi macroeconomiche per il 2007 stanno progressivamente peggiorando, e che il petrolio sta viaggiando sparato verso gli 80 dollari al barile, facendo prevedere un prezzo medio per quest’anno di almeno 65 dollari, non sbagliano quegli economisti che ipotizzano manovre correttive 2006-2007 per non meno di due punti di pil (25 miliardi), cui dovranno aggiungersi le “normali” Finanziarie (per altrettanto), ovviamente al netto di interventi riduttivi delle entrate. A tutto ciò, come se non bastasse, si aggiunga poi l’improrogabile manovra di contenimento del debito, che cresce pericolosamente sia in termini assoluti che in rapporto al pil.
Il secondo monito ricavabile dall’Outlook del Fondo Monetario è di natura politica. Naturalmente né i documenti dell’Fmi né le parole dell’economista indiano fanno riferimento al dopo-elezioni, ma è implicito il giudizio che un governo debole e un sistema politico fallito siano del tutto impari rispetto alle sfide “tremendous” (letteralmente: tremende, straordinarie, incredibili) che l’Italia deve affrontare. A cui Prodi non può limitarsi a rispondere che trattasi dell’eredità lasciatagli da Berlusconi e nei confronti delle quali Berlusconi non può dire che si tratta dell’eredità che nel 2001 gli aveva lasciato Prodi. Affermazioni entrambe vere, ma che stridono non solo per la loro parzialità – in realtà c’è un continuum di ingovernabilità che attraversa l’intera Seconda Repubblica e di cui centro-destra e centro-sinistra sono responsabili in solido – ma anche con il linguaggio teso ad occultare la verità al Paese, usato da entrambi i poli e soprattutto dai candidati premier.
Così, mentre salgono le preoccupazioni internazionali per un’Italia “fuori controllo”, da noi i “due perdenti” rimangono – irresponsabilmente – protagonisti indiscussi di un gioco che già sappiamo sarà a somma zero. A questo si aggiungano i rumori sinistri che salgono dal fronte giudiziario. La quasi contemporanea uscita ed entrata dalle porte girevoli del carcere di Gianpiero Fiorani e di Stefano Ricucci – immediatamente dopo le elezioni, ma immediatamente prima del giro di nomine istituzionali, Quirinale in testa – mentre altri “furbetti del quartierino” continuano a godere di trattamenti diversi (anche se proceduralmente più corretti), fanno presagire che nella partita politica saranno ancora una volta protagoniste le procure di Milano (quella che ha fatto arrestare Fiorani ma non Consorte e Gnutti) e di Roma (quella che mentre Milano scarcerava l’ex banchiere di Lodi faceva tradurre a Regina Coeli l’ingenuo scalatore del Corsera).
Egregio signor Rajan, faccia la cortesia, visto che ha chiaro in testa come stanno le cose in Italia, prenda il primo aereo e ci venga a salvare. Come? Anche con l’annessione all’India, se necessario.

Pubblicato sul Foglio del 21 aprile 2006

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