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L'Agenda Monti

Agenda fortiter

Il testo di Monti sarà pure lacunoso, ma è la sua funzione politica che conta. I centristi invece...

28 dicembre 2012

Sì, è vero, l’agenda Monti è troppo generica (Zingales), per i servizi pubblici è tardo-statalista (Alesina-Giavazzi), sulle tasse è poco coraggiosa (Giacalone). Io potrei anche rincarare la dose, osservando che si attarda a considerare l’azzeramento del deficit una conquista (non lo è) mentre sul debito si limita a sperare che se lo mangi l’avanzo primario (peccato che gli oneri sul debito stesso non lo consentano) e al massimo concede che dal 2015 sia messa in atto la strategia europea che vuole una riduzione dello stock eccedente il 60% del pil nella misura di un ventesimo all’anno. Così come potrei aggiungere critiche sulla povertà delle proposte intorno alla dismissione del patrimonio pubblico non produttivo e alla riduzione della spesa pubblica corrente (da riforme strutturali su decentramento e sanità, non da spending review) e la conversione di queste risorse in investimenti finalizzati all’ammodernamento delle infrastrutture materiali e immateriali e all’allargamento della base industriale.

Tutto vero. Ma, non sembri paradossale, l’importanza dell’agenda Monti non sta nelle indicazioni programmatiche che offre, bensì nell’intento politico sottostante: rompere una volta per tutte il bipolarismo italico, cioè quella forma politico-istituzionale (chiamata impropriamente Seconda Repubblica) che ha fatto precipitare l’Italia nella crisi ben prima che arrivasse, aggravandola, quella mondiale ed europea. E non può sfuggire a chi, giustamente, ha questionato sulla perduta supremazia della politica – anche se essa era già andata perduta con l’avvento dei partiti padronali, e non certo per colpa del governo tecnico – quanto sia prioritario l’obiettivo di costruire un nuovo sistema politico, propedeutico a qualunque scelta programmatica. Pensate forse che fossero i programmi fallaci di Prodi e Berlusconi ad aver impedito loro di governare, o era il sistema politico e istituzionale a non essere il giusto strumento per selezionare buona classe dirigente e metterla in condizione di decidere?

Dunque, l’agenda Monti, pur con le evidenti lacune programmatiche, è “politicamente” efficace per cominciare a metterci alle spalle la fallimentare stagione della forzosa contrapposizione tra berlusconiani e anti-berlusconiani, a sua volta premessa indispensabile per aprire la stagione della Terza Repubblica. Storia certo ancora tutta da scrivere – e che probabilmente richiederà altri protagonisti e una successiva legislatura se, come probabile, la prossima sarà assai breve – ma che prevede necessariamente che sia definitivamente archiviata quella attuale.

E questo perché la “salita in campo” del Professore – anche se in modo indiretto, purtroppo – rende l’offerta politica a disposizione degli italiani il 24 febbraio prossimo almeno parzialmente diversa rispetto a quella della vecchia contrapposizione tra centro-destra e centro-sinistra che per 20 anni ha favorito l’emergere dei populismi che purtroppo albergano in gran numero nelle viscere della nostra società, a danno delle forze di governo, conservatrici o riformiste che fossero. Offerta bipolare sgangherata che si stava nuovamente riproponendo con il solito schema “Berlusconi sì, Berlusconi no”, come dimostrano le intemerate televisive del Cavaliere e le repliche delle sceneggiate dei “comici di sinistra”: il Pd alleato con la sinistra radicale e prigioniero del riflesso condizionato pro-Cgil, tanto da indurre riformisti come Ichino a scappare, con Bersani che si comporta come se avesse già vinto mentre invece rischia di non avere la maggioranza al Senato; il Pdl nelle mani del redivivo Berlusconi che si prepara a recuperare voti parlando il linguaggio di Grillo, oltre che a rispolverare il solito refrain sui comunisti. E il Centro, vecchio e nuovo, fin qui incapace di costruire un soggetto politico ad hoc, che senza Monti elettoralmente non esisterebbe. Insomma, se il principale merito del governo Monti è stata la discontinuità rispetto al bipolarismo malato, allora ben venga la valenza politica della sua “agenda”. E ben venga tanto più se è vero, come è vero, che a lui guardano con fiducia i mercati e in lui hanno un chiaro punto di riferimento gli interlocutori europei e atlantici da cui dipendono, lo si voglia o no, molti dei nostri destini.

Detto questo, il vero tema è un altro: quanto Monti è in grado di fare la differenza in termini elettorali? Chi sono i suoi compagni di strada, il meglio rimasto fuori dal bipolarismo e che negli anni ha saputo offrire una critica costruttiva, o il peggio che dal bipolarismo è fuoriuscito dopo esserci stato dentro? Chi farà le liste, qualcuno che ci mette la faccia o chi agisce dietro le quinte, magari in un conflitto d’interessi non meno evidente di quello di Berlusconi? In politica non ci si può permettere di fare gli schizzinosi, ma la risposta a queste domande sarà decisiva. Per intanto, buon 2013!

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