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Il doppio accordo energetico italo-francese

Adesso ci vorrebbe un “patto atomico”

L’intesa dimostra che il Paese ha ancora la possibilità di ricaricare le pile

di Enrico Cisnetto - 09 maggio 2005

Ci sono voluti quattro anni, ma ce l’abbiamo fatta. Meglio tardi che mai. Il doppio accordo “energetico”, quello Aem-Edf per il controllo paritetico di Edison e quello Enel-Edf per rilanciare la presenza italiana nel nucleare, è una vittoria importante. Arrivata in ritardo, dopo una trattativa troppo diluita nel tempo per colpa di un governo distratto e scarsamente sintonico con l’Eliseo, che certo vede una asimmetria a favore dei francesi, ma che comunque merita un plauso. Compreso quello del sottoscritto, dedicato a chi confonde la mia preoccupazione per il declino dell’Italia con un cieco pessimismo, o addirittura come l’esercizio (abusivo) dell’antico mestiere di iettatore. Anzi, uno dei motivi di compiacimento sta proprio nel fatto che l’intesa italo-francese dimostra che il nostro Paese, persi molti treni nella sfida della globalizzazione, ha ancora la possibilità di ricaricare le pile e recuperare. Basti pensare che l’ingresso dell’Enel nel mercato energetico francese significa la possibilità di recuperare il perduto know-how “atomico” e riaprire il discorso sul nucleare, sciaguratamente chiuso con il referendum di 18 anni fa. Creando così le condizioni per colmare il nostro gap energetico, uno degli elementi fondamentali della scarsa competitività dell’industria made in Italy.

Certo, non mi sfugge che il colpo messo a segno dall’amministratore delegato dell’Enel, Paolo Scaroni, può risultare un’arma a doppio taglio. Perché come all’ex monopolista italiano è data la possibilità di varcare la frontiera, così avviene in senso inverso. E si peccherebbe di ingenuità e presunzione ponendo sullo stesso piano Enel ed Edf, visto che il colosso transalpino è un Golia che affronta un Davide del quale non si sa se abbia la fionda in tasca. Ma, detto questo, non sono d’accordo con chi, come Pierluigi Bersani, sostiene che da questo incrocio italo-francese abbiamo solo da rimetterci. Mettiamola così: lo spazio concesso ad Edf è il prezzo da pagare – io dico il minore dei prezzi possibili – perchè l’Italia torni al nucleare. Ho scritto in questa stessa rubrica recentemente che si tratta di una scelta obbligata, se vogliamo modernizzare il nostro capitalismo, perdere la dipendenza (unici in Europa) dal gas e petrolio e ridurre quel 15% di approvvigionamento elletrico proveniente dall’estero.

Ora si colga questa occasione per riaprire il dossier, anche perchè l’Italia consuma energia nucleare in modo surrettizio: la importa dalla Francia – fatto, questo, che dovrebbe far cadere ogni obiezione ambientalista – e la produce, sempre grazie all’Enel, in Slovacchia. Perchè, allora, non dirlo chiaramente agli italiani? Forse qualcosa si muove, se lo stesso Vittorio Mincato, amministratore delegato dell’Eni – azienda che maneggia altre fonti energetiche – dice che dobbiamo tornare al nucleare. Ma adesso c’è bisogno di un’assunzione di responsabilità della politica, finora codardamente silente. Sogno un “patto atomico” tra i riformisti dei due poli.

L'articolo è stato pubblicato sul Messaggero dell'8 maggio 2005

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