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Public Policy

Ora proporzionale con sbarramento

A un passo dal big-bang

Il bipartitismo è morto. Quale soluzione si prospetta?

di Paolo Arsena - 09 giugno 2009

Il bipartitismo è sepolto, il bipolarismo è minato e l’ora del big-bang è sempre meno distante. Il PDL di nuovo conio arretra, il PD crolla. Rispetto alle politiche di un anno e mezzo fa, i due maggiori partiti perdono assieme più del 9% dei consensi. Salgono invece le forze intermedie: la Lega supera il 10%, l’IdV quasi raddoppia i suoi voti, l’UdC consolida e irrobustisce la posizione terzista. La sinistra estrema, già tumulata, dimostra invece di esistere, sia pure ancora scissa e infeconda. Questo sentenzia il verdetto delle europee, con buona pace dell’arroganza semplificatoria ad oltranza. Il pregio di queste elezioni, grazie al proporzionale con soglia di sbarramento, è stato quello di liberare il voto reale, di rappresentare l’Italia per quello che è. Senza forzature indotte, voti carpiti solo in nome dell’utilità, machiavelliche operazioni penalizzanti per i non allineati.

È chiaro che questo scenario, unitamente all’ormai prossimo fallimento referendario, imponga una revisione degli schieramenti elettorali e delle regole democratiche, ritagliate finora sul duopolio PD-PDL. È infatti assurdo che sul piano nazionale, più del 15% dei cittadini, frammentato in almeno quattro formazioni minori ma significative, non goda di rappresentanza parlamentare. È soprattutto assurdo che il Partito Democratico voglia continuare a sterilizzare l’opposizione buttando al macero qualche milione di voti indispensabili a controbilanciare la maggioranza di governo. Così come è altrettanto assurdo che sia teoricamente possibile assegnare al partito prevalente la maggioranza assoluta in parlamento col 35% dei consensi.

Si impone dunque un ripensamento. Sosteniamo da tempo che l’anomalia italiana nasca dal meccanismo maggioritario, sia esso insito nel sistema uninominale che abbiamo vissuto, sia esso applicato al proporzionale odierno. Nasce cioè dal concetto che chi vince, sia pure senza maggioranza assoluta, ha diritto ad un “asso pigliatutto”, ad una razione di droga che altera la rappresentanza a proprio vantaggio. Questo costringe ad una corsa falsata, in cui i partiti o le coalizioni sono frutto di sommatorie indistinte, si costruiscono per vincere e non per governare, e chi non si adegua perde o resta fuori. Costringe inoltre a polarizzare l’offerta in due soli schieramenti, spesso incapaci di proporre politiche coerenti e comunque impossibilitati a mettere mano alle urgentissime riforme strutturali, che necessitano di larghi consensi trasversali, di stabilità nel lungo periodo, di gradualismi negli avvicendamenti di governo. Costringe in ultimo a rappresentare il voto effettivo in forma coercitiva e caricaturale, distante dalla reale volontà dell’elettore.

Quale soluzione, dunque? È chiaro che, pur semplificando l’offerta politica rispetto ai lenzuoli di simboli cui è spesso abituato, il cittadino intenda scegliere in un contesto plurale. All’uopo, si parla di “sistema tedesco”, quale pista alternativa. Ma l’analogia è fuorviante, essendo quel sistema un ibrido, non immune dai pastrocchi del mattarellum di ancora fresca memoria. Più che al “sistema tedesco”, si pensi piuttosto ad un proporzionale semplice con soglia di sbarramento minima, al 2 o 3%. Si pensi contestualmente a correttivi efficaci, quali l’annullamento delle liste bloccate; il vincolo al mandato elettorale per gli onorevoli, con divieto di cambiare casacca o di costituire “in vitro” nuovi gruppi parlamentari, pena la decadenza della funzione; l’opzione di dichiarare prima delle elezioni quale coalizione di governo si intenda proporre.

Sia chiaro, non esiste un sistema perfetto. Ma ciò premesso, il proporzionale con sbarramento consentirebbe di salvaguardare un equo pluralismo, di limitare la rappresentanza per le sole minoranze irrilevanti e di avere realisticamente non più di 7-8 forze in parlamento. Non quindici, ma nemmeno tre o quattro. Consentirebbe di rimettere al centro il partito (magari riformato rispetto alla concezione tradizionale) e non il populista di turno, con sensibile beneficio per l’elaborazione programmatica, la democrazia interna, l’accesso alla politica, la selezione della classe dirigente, il radicamento sul territorio, il contatto vero coi problemi comuni. Consentirebbe, a certe condizioni, di avere maggioranze omogenee su basi programmatiche. Consentirebbe infine di ridare alla nostra democrazia il suo significato più pieno, secondo il dettato costituzionale: quello di una democrazia parlamentare che elegge e delega un parlamento, uscendo dalle effrazioni continue che ammiccano alla democrazia diretta, fomentando personalismi di carattere plebiscitario.

Ripensiamo onestamente alla Prima Repubblica e alla Seconda. A differenza dell’ultimo quindicennio (caratterizzato da grandi stravolgimenti di governo, da scarse riforme, dal declino costante del Paese, da una crisi economica così consolidata da renderci avvezzi al trauma della crisi globale), i decenni precedenti hanno segnato il passaggio da un’Italia agricola alla settima potenza industriale. Sono stati anni di sostanziale stabilità d’indirizzo, di sviluppo, di benessere. Pur nella degenerazione del costume, nella corruzione, nel malaffare. Con Tangentopoli si è pensato impulsivamente di stravolgere quel sistema, passando di male in peggio. A distanza di anni, a sangue freddo e con la lucidità necessaria, possiamo dire che la Prima Repubblica sia da correggere in modo efficace, non da buttare via del tutto. Senza sottacerne i limiti. Solo così potremo accedere ad una Terza Repubblica, lontana dalla perfezione, ma certamente migliore delle precedenti.

*portavoce del Forum per l’Unità dei Repubblicani

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