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Tra liberalizzazioni vere e le annunciate

A mancare è lo spirito liberale

Vedremo se non saranno un fuoco di paglia e se si estenderanno ad altri settori

di Elio Di Caprio - 10 luglio 2006

Si possono osservare i metodi ed i meccanismi democratici, senza per questo agire con spirito democratico.
Cosa c"è di più democraticamente diretto che conoscere le magagne pubbliche e private dei potenti di turno attraverso il capillare strumento delle intercettazioni telefoniche disposte dal potere giudiziario? Eppure l"abuso di tali strumenti non depone certo a favore dello spirito democratico in una convivenza collettiva spiata a turno dal “grande fratello”, nonostante sia stata creata un" istituzione di garanzia apposita che non funziona come l"Authority per la privacy.
Così come si possono liberalizzare lavoro, servizi e professioni, per creare maggiore concorrenza e ridurre i prezzi dei beni in offerta sul mercato, senza per questo agire con spirito liberale, infischiandosene, come successo finora, dei provvedimenti emanati dalle Autorità preposte al rispetto della concorrenza, dall"Antitrust all"Autorità per l"elettricità ed il gas, a quella delle telecomunicazioni.
Lo spirito democratico come quello liberale è una cultura che va via via formandosi sulla base di tradizioni consolidate. Quando manca una tale base di partenza non dobbiamo poi meravigliarci se poi nelle applicazioni pratiche si crea più confusione che chiarezza, con infinite scappatoie e distorsioni che impediscono di perseguire gli obbiettivi dichiarati.
Chi può essere contro le liberalizzazioni in un sistema come quello italiano, ingessato sia politicamente che economicamente? Nessuno, almeno a parole.
L"importante è saperle fare, avendo chiaro un disegno di trasformazione collettiva (anche psicologica), con la consapevolezza dei benefici e dei costi, sapendo bene che poi non si può fare a meno del consenso politico della collettività. E qui entrano altre considerazioni riguardanti l"autorevolezza, la coerenza e la solidità del potere esecutivo e parlamentare che decide di liberalizzare, la percezione indispensabile nel cittadino che ci possa essere stata a monte una mediazione “alta” tra gli interessi contrapposti, da quelli corporativi e di settore, a quelli sindacali e associativi.
C"è questo clima nell"Italia di oggi?
L"importante è comunque cominciare. Dopo i ritardi accumulati negli anni passati e le testarde statistiche che pongono ogni anno il nostro Paese negli ultimi posti della classifica sulla competitività, qualcuno doveva pure prendersi l"onere di rompere l"incantesimo.
L"ha fatto il Governo Prodi sotto l"improbabile schermo di un decreto legge che inizia a liberalizzare alcuni settori della vita collettiva, senza costi aggiuntivi apparenti, senza “andare a mettere le mani nelle tasche dei cittadini” , come recita la solfa più volte ripetuta dal precedente governo Berlusconi. Ma è proprio così? Si possono fare veramente riforme a costo zero?
Non sempre e non in tutti i settori, come dimostra la travagliata vicenda delle licenze dei taxi, non ancora avviata a soluzione.
Giulio Tremonti, l"ex Ministro dell"Economia di quel Governo Berlusconi che, con la più larga maggioranza parlamentare del dopoguerra, nulla o poco ha fatto ( tranne la contestata legge Biagi) per non farsi irretire dagli interessi corporativi e di settore, ha buon gioco a parlare, a proposito del piglio liberalizzatore del Ministro Bersani e dei DS, di “zelo mercatista”, proprio dei neofiti che vogliono essere più realisti del re...
Fa sempre un certo effetto che siano proprio i DS a scoprire in ritardo la categoria dei cittadini-consumatori....
Forse pesano nel giudizio di Tremonti gli errori passati dei governi di centrosinistra, in primis di quello D"Alema, nel privatizzare le aziende di Stato e nel liberalizzare i mercati dell"energia e delle telecomunicazioni senza alcuna strategia e senza un reale vantaggio per i consumatori. Ma cosa ha fatto poi il centrodestra per correggere tali errori?
In più l"ultimo decreto legge testimonia, per i tempi ed i modi in cui è stato quasi imposto, una sortita di carattere sbrigativo ed autoritario, tipico della cultura ex comunista, di chi vuole finalmente mettere le cose a posto dopo anni di lassismo e inconcludenze.
A parte ciò, l"importante era dare comunque un segnale che con il centrosinistra la musica è cambiata e che il nuovo Governo può riuscire là dove il precedente ha clamorosamente fallito. Vedremo se le liberalizzazioni non saranno un fuoco di paglia e se si estenderanno ad altri settori, compreso quello dell"energia, già “liberalizzato” sulla carta dai precedenti governi di centrosinistra.
Ma basta tutto questo? E" l"inizio di un percorso virtuoso su cui tutti dovrebbero e potrebbero convergere?
Ci resta il dubbio che le due coalizioni di centrosinistra e di centrodestra, già in difficoltà ad esprimere una composizione “alta” delle spinte interne contrapposte, siano poi in grado, una volta al governo, di rappresentare e garantire una mediazione “alta” in nome delle collettività tutta intera, magari in nome di quello “spirito liberale” e meritocratico che da noi tarda ad affermarsi da troppo tempo.

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