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L’Ue di fronte ai sintomi di scontro tra civiltà

A Bruxelles si chiede risolutezza

Gli incendi delle ambasciate, l’omicidio di un sacerdote, l’Islam degenera nel fanatismo

di Antonio Picasso - 06 febbraio 2006

Adesso è il momento del decisionismo. Le vignette satiriche su Maometto, violentemente contestate nel mondo islamico, e l’assassinio del sacerdote italiano, Andrea Santoro, a Trebisonda in Turchia sono due chiari esempi di una situazione mondiale che pochi, finora, avevano definito con il suo giusto nome: uno scontro tra civiltà. Purtroppo quel paventato “clash” definito da Samuel Huntington si sta realizzando. E l’Europa resta inerme. Tuttavia, è necessaria una reazione che sia proporzionalmente in equilibrio con lo sviluppo degli eventi.
Certo, ha fatto bene la Chiesa a reagire con cautela e a parlare, in merito alla morte di padre Santoro, di un caso isolato perpetrato da un fanatico. Tuttavia, gli incendi di questo fine settimana alle ambasciate e consolati danesi e norvegesi in Siria e Libano – eccessi che si stanno adesso propagando in altre aree del mondo islamico – non possono essere considerati alla stessa stregua. Perché se la morte di una persona nasce dall’istinto impazzito di un singolo, le sommosse di piazza sono l’esteriorizzazione di una follia collettiva, che i governi locali non riescono, ma a questo punto bisogna pensare che non vogliano fermare. Non è azzardato ipotizzare, infatti, che gli scontri di Damasco siano stati in parte orchestrati dal regime di Bashar al-Assad.
Il problema è che, in un mondo come quello islamico, in cui il sentimento religioso convive con una situazione economica di evidente arretratezza, il fanatismo ha maggiori possibilità a diffondersi. Inoltre, è innegabile il fattore missionaristico dell’Islam, a differenza di quello cristiano, includa l’imposizione all’infedele della fede per Allah.
La Chiesa, in questo, è diversa. Perché, dopo tanti secoli di lotte e spargimenti di sangue, ha capito che il profano che non accetta il Verbo non merita né la scomunica, né il rogo purificatore. La modernizzazione e l’adeguamento ai tempi, da parte del cristianesimo, hanno incluso un evidente senso di moderazione, propensione al dialogo e apertura a idee e visioni teologiche del mondo differenti dalle interpretazioni testamentarie. L’Islam, almeno nella sua maggioranza di fedeli, non ha ancora compiuto questo passo. Ecco che, allora, il confronto-scontro tra le due civiltà e culture raggiunge apici di crisi, che trovano sfogo nell’estremismo e nelle manifestazioni di piazza.
La Chiesa si è limitata a esprimere prudenza. Che altro poteva fare? Un’istituzione tanto universale, che ha impostato la sua linea politica mondiale sulla pace, il dialogo e il tollerante confronto tra le parti, non aveva altra scelta.
Diversi sono, invece, i doveri e le parole che le istituzioni laiche, prima fra tutte l’Unione europea, si devono assumere e devono esprimere. Convinzione sincera nel riconoscersi come autorità aggredita sul piano internazionale. Chiara manifestazione nel non volere assolutamente accettare l’eventuale ripetizione di simili accadimenti. Fermezza nell’esigere una dichiarazione ufficiale di scuse da parte del governo siriano. Rifiuto di dialogare con quei soggetti che, per esempio Hamas in Palestina, non intendono allontanarsi dalle attività terroristiche o da qualunque altro ricorso alla violenza. Bisogna che l’Europa faccia valere il proprio peso internazionale e imponga agli interlocutori una linea di rispetto e riconoscimento della propria identità sul piano politico mondiale.
Questo è possibile soltanto seguendo due strade. Da una parte, incentivare lo sviluppo e la crescita delle forze islamiche più tolleranti, che vivono nell’Ue stessa e che stanno assumendo il potere in alcuni Paesi di religione islamica. Per prima la Turchia, con la quale Bruxelles sta contrattando l’ingresso (sebbene dovrebbe fare riflettere questo caso di omicidio dettato dal fanatismo). Ma non si possono dimenticare Marocco, Tunisia, Egitto, Libano, Giordania e in parte la stessa Arabia Saudita. Paesi dove il percorso democratico è solo agli inizi, ma che sono comunque guidati da governi che hanno già dimostrato la loro disponibilità al confronto. Dall’altro lato, l’Ue è giusto che mostri i propri muscoli. Sanzioni, embarghi, ritrattazione degli incentivi economici, chiusura delle frontiere. Nell’agenda di Lisbona 2000, l’Europa ha orgogliosamente espresso il desiderio di diventare una potenza economica di carattere mondiale. Per raggiungere questo obiettivo le sono lecitamente riconosciuti anche gli strumenti di una diplomazia risoluta.

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