ultimora
Public Policy
  • Home » 
  • Archivio » 
  • 11 settembre: un bilancio otto anni dopo

Migliorano i sistemi di difesa

11 settembre: un bilancio otto anni dopo

Ma nel mondo sono cresciuti i pericoli delle forze del terrore

di Massimo Teodori - 11 settembre 2009

Ad otto anni dall’11 settembre 2001 è possibile tirare un bilancio della guerra al terrorismo dichiarata dal presidente Usa George W. Bush all’indomani del tragico evento. La data sta ormai a indicare nel mondo intero uno spartiacque tra due periodi storici, come lo sono state il 5 agosto 1945 con la prima bomba atomica, e il 9 novembre 1989 con la caduta del Muro di Berlino. “Prima” dell’11 settembre il terrorismo islamista non era considerato un potente fenomeno globale, come invece è stato ritenuto “dopo” con l’effetto di provocare un profondo ripensamento delle strategie politiche e militari internazionali delle grandi e medie potenze, non solo in Occidente.

Durante la Guerra fredda (1947-1989) la priorità delle democrazie occidentali era lo scontro con l’Unione Sovietica. Con l’11 settembre la difesa dal e la lotta al terrorismo islamista sono divenuti gli imperativi che hanno impegnato le risorse morali e materiali dell’occidente mobilitando l’intelligence e gli apparati militari. Per avere un’idea di come gli effetti si sono fatti sentire sulla vita quotidiana di centinaia di milioni di persone, basta pensare a quel che è cambiato negli aeroporti.

Sul piano militare le campagne condotte dagli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq hanno avuto esiti discutibili o ancora aperti. Se per un verso la guerra a Saddam ha avuto il benefico effetto di defenestrare un dittatore sanguinario, per un altro non è riuscita a pacificare la regione che resta tormentata. Probabilmente, nell’ottica della lotta al terrorismo, quella iniziativa di Bush Jr. è stata inutile e controproducente perché ha richiamato sul territorio diversi gruppi riconducibili al fondamentalismo islamista. Per un altro verso la guerra d’Afghanistan che, diversamente dall’Irak, ha a che fare con Al Queda, dimostra dopo anni che il confronto con il fondamentalismo terrorista islamico non può essere affrontato soltanto con l’uso della forza militare ma richiede una strategia più complessa che punti anche sulla collaborazione economica e civile. Solo gli anni a venire diranno se ciò è possibile, e con quali risultati.

Diversamente dalle imprese militari, è ormai indubbio che sul piano dell’intelligence e della prevenzione civile l’Occidente ha avuto finora ragione del terrorismo sul proprio territorio. Dopo l’11 settembre a New York e gli altri tragici casi di Londra e Madrid, in America e in Europa non vi sono più stati significativi episodi terroristici di matrice islamista, segno che i servizi segreti, le polizie e gli altri apparati di sicurezza hanno funzionato attraverso un efficace coordinamento internazionale indispensabile per affrontare il fenomeno transnazionale.

La presenza attiva di minoranze fondamentaliste e terroristiche in seno al miliardo e mezzo di islamici distribuiti sui tre continenti ha provocato un mutamento anche nei rapporti tra gli Stati. La Russia semiautoritaria, la Cina capital-comunista e l’India, in ragione delle loro minoranze etniche, e il Pakistan, a causa della presenza di veri e propri centri islamisti sovversivi, hanno dovuto collegarsi all’Occidente per combattere il terrorismo interno. Al tempo stesso i cosiddetti paesi “islamici moderati” come l’Egitto e, per altri versi, l’Arabia Saudita, sono stati anch’essi spinti ad appoggiarsi agli americani per resistere più efficacemente alla pressione fondamentalista interna.

Un altro fattore emerso dopo l’11 settembre è la proliferazione nucleare che ha aperto una duplice questione di sicurezza interna e internazionale. In primo luogo la potenziale nuclearizzazione di paesi come l’Iran ha sconvolto l’equilibrio nella regione e di conseguenza minaccia la sicurezza di Israele. In seconda istanza la fabbricazione di ordigni atomici da parte di iraniani, nordcoreani, siriani e altri simili Stati dà origine a un pericolo ancora più grave: la diffusione di materiale atomico miniaturizzato anche a gruppi terroristi non statali in grado di farne ovunque un uso ricattatorio.

Tirando le fila in un bilancio complessivo, è realistico affermare che oggi l’Occidente è in grado di difendersi molto meglio di quanto non lo fosse otto anni fa; ma, al tempo stesso, è indubbio che nel mondo intero sono cresciuti i pericoli delle forze del terrore, siano esse arroccate in alcuni Stati come l’Iran e la Somalia, o diffuse in gruppi che per le loro azioni criminali si celano dietro lo schermo ideologico dell’islamismo.

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.